Rassegna storica del Risorgimento

GARIBALDI GIUSEPPE; VOLONTARIATO
anno <1982>   pagina <403>
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Garibaldi e il volontariato
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zione, mantenendolo in un quadro compatibile con lo spazio di partecipazione politica che Cavour poteva ammettere per il movimento democratico, per non perderne il controllo rischiando anche reazioni internazionali. Significativa a quest'ultimo riguardo è la clausola, fatta inserire da Napoleone III nella con­venzione del 1858, che proibiva esplicitamente la costituzione dei corpi franchi, per timore delle reazioni dell'intera Europa di fronte al paventato spettro di una guerra popolare che avrebbe evocato le rivolte e le insurrezioni europee del 1848-49.
I timori e la diffidenza dei quadri piemontesi nei confronti dei volontari indussero nel 1859 a seguire una politica diversa da quella che aveva portato alla costituzione nel 1849 della 5a Divisione Lombarda. Non vennero costituiti grossi reparti di volontari; questi ultimi furono ripartiti fra le varie unità del­l'esercito regolare. Solo i Cacciatori delle Alpi, una piccola Brigata di circa 3000 uomini, fu un'unità tutta di volontari assorbita nell'Armata Sarda dopo Vili afranca.
II volontariato ebbe un'altra forma istituzionalizzata: il Corpo dei Volon­tari Italiani previsto da Cavour e da Fanti nel 1860-61, come alternativa alle proposte di Garibaldi di immettere nell'esercito regolare quello meridionale o di fondare l'ordinamento del nuovo esercito sul principio della nazione armata. Esso, però, nacque del tutto asfittico, anche in conseguenza del fatto che i mi­gliori comandanti garibaldini erano stati assorbiti nell'Esercito regolare. Chia­ramente l'intendimento era di neutralizzare i volontari non di costituire una forza militare affiancata all'esercito regolare, gelosissimo delle sue prerogative e del monopolio del suo potere ed anche del suo sapere specifico. Fu per tale motivo che, malgrado gli sforzi di Garibaldi, i dieci reggimenti di volontari costituiti nel 1866 non raggiunsero un elevato livello d'efficienza operativa, nonostante il loro indubbio valore e taluni successi, come quello, peraltro con­troverso, conseguito a Bezzecca. Mancavano ufficiali sperimentati, i servizi logi­stici erano estremamente carenti e la mancanza di organizzazione e di disciplina erano solo parzialmente compensate dall'entusiasmo e dal valore personale dei volontari. Tale situazione, in misura ben più drammatica, doveva ripetersi a Mentana, dove si verificarono anche episodi di sbandamento di interi reparti di volontari.
Grandi erano le diffidenze che l'ufficialità piemontese e i membri del par­tito moderato nutrivano nei confronti dei volontari, ritenuti potenziali rivolu­zionari. Lo dimostrano le opinioni espresse dall'on. Fambri dopo Mentana: I corpi volontari, di faccia a quelli regolari, oltre a tutti gli svantaggi tecnici, ne hanno uno grandissimo disciplinare e morale. Gli è il seguente: nei corpi rego­lari i buoni soldati tengono a freno i malvagi, i quali talvolta, vedendo di non potersi impunemente sbizzarrire, pigliando il loro partito, si rassegnano a far bene il servizio e riescono anche utili al paese. Nei corpi volontari la cosa pro­cede all'inverso; i tristi imbarazzano neutralizzano e invertono persino l'opera dèi buoni ; La Svizzera armata è un armamento; l'Italia armata sarebbe un disarmo. Forse però, fra 10 o 15 anni il concetto dell'Italia Armata potrà non essere negativo ; Non voglio volontari che facciano da sé. Primo, perché i volontari dei corpi irregolari non sono abbastanza soldati. Secondo, perché i soldati dei corpi regolari non sono abbastanza volontari. Voglio contemperati ì due elementi per dar potenza alla macchina militare.3)
3) PAOLO FAMBRI, Volontari e regolari, Firenze, Le Mounier, 1870, pp. XXIV, 117, 337.