Rassegna storica del Risorgimento
GARIBALDI GIUSEPPE; VOLONTARIATO
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1982
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Garibaldi e il volontariato
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preferenza per i ribelli, anche se in effetti non manda più in giro per il mondo volontari a combattere le cause di questi ultimi. Nei movimenti di liberazione del terzo mondo, in Vietnam come in Afganistan, la partecipazione italiana ai combattimenti è stata praticamente nulla, nonostante l'intensità e la virulenza delle manifestazioni verbali e di piazza. Solo in Ungheria nel 1956 sembra sia accorso un piccolo nucleo di volontari italiani per combattere a fianco degli insorti. Moltissimi furono invece gli italiani che hanno combattuto, specie nella Legione Straniera, dall'altra parte della barricata, evidentemente con ben diverse motivazioni da quelle che avevano ispirato i volontari di Garibaldi.
Comunque, ritornando a Garibaldi e al Risorgimento, è evidente il ruolo svolto dal volontariato come elemento di raccordo fra guerra regia e guerra di popolo. Fra Fazione del volontariato garibaldino e l'azione organica delle masse popolari e nazionali vagheggiata da Pisacane esiste una differenza sostanziale. I volontari garibaldini non erano espressione dell'intero popolo, in particolare della classe contadina, ma solo di taluni strati sociali selezionati della borghesia e del proletariato urbano. L'averne fatto il simbolo del contributo armato del popolo alla lotta di redenzione politica è per molti versi indebito. Costituirono invece un elemento di collegamento e di mediazione tra la monarchia e le correnti democratiche e rivoluzionarie, pur finendo per essere strumentalizzati prima ed assorbiti poi dal partito moderato e dinastico.
Questo non toglie significato al loro entusiasmo nazionale e al loro valore personale, che fanno parte della tradizione italiana, contribuendo a legittimare come guerra nazionale quella che in caso contrario non sarebbe sembrata altro che una semplice occupazione dell'Italia da parte della dinastia sabauda. In tal senso, ai fini della costituzione dell'esercito nazionale, il volontariato ebbe senza dubbio importanza analoga a quella dell'azione svolta da Azeglio e da Cavour negli anni '50 accogliendo a Torino gli esuli di tutta Italia e creando così le basi della formazione della futura classe dirigente nazionale.7)
Le prime esperienze militari, fatte in Sud America, sia su terra che su mare, influirono profondamente su Garibaldi, che fu un vero e proprio condottiero, dotato di elevate capacità strategiche e tattiche, non un semplice capo banda, come riteneva ad esempio Pisacane. Il Sud America, dove nuclei armati si fronteggiavano in grandi spazi, era un terreno ideale per la manovra e per la guerriglia. Se Garibaldi era ben conscio delle possibilità offerte dalla guerra per bande, lo era al tempo stesso delle sue limitazioni. In Italia, non si trattava di affrontare altri nuclei armati, ma i consistenti eserciti regolari austriaci e del Regno delle Due Sicilie. Poi, gli spazi erano più ristretti. Infine, le operazioni si dovevano concludere rapidamente, per non dar luogo a complicazioni internazionali e per non permettere il coagularsi delle forze della reazione. Il suo programma ed il suo genio guerresco gli consentirono d'integrare la piccola guerra > con le operazioni tradizionali e di condurre queste ultime con lo spirito e la snellezza di un capo partigiano. Ma considerava decisive solo le operazioni tradizionali per cui costantemente si sforzò di trasformare le formazioni irregolari in vere e proprie unità regolari, dotate di una certa organicità e disciplina. *> Per mantenere questa ultima, in verità, Garibaldi andava piuttosto
7) Vedi in proposito R. ROMBO, // Risorgimento in Sicilia, Bari, Laterza, ed. 1982,
p. 356. ' , .
8) F. S. GRAZIOLI, Le campagne d'America, in Garibaldi condottiero, cit. e F.
SABDACNA, Garibaldi in Lombardia nel 1848, Milano, Treves, 1927, p. 175.