Rassegna storica del Risorgimento
GARIBALDI GIUSEPPE; VOLONTARIATO
anno
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1982
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pagina
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409
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Garibaldi e il volontariato
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conferma lo stesso Garibaldi nelle sue memorie, 16> l'impresa non era motivata dalla sua convinzione di poter rovesciare i risultati della sconfitta dell'esercito regio a Custoza. Il suo obiettivo era molto più modesto. L'impresa, infatti, era fondata sulla persuasione che l'armistizio sarebbe presto finito, che l'Esercito piemontese avrebbe ripassato il Ticino e che la guerriglia avrebbe comunque accelerato la ripresa delle ostilità. Tuttavia, l'azione di Garibaldi preoccupò molto Radetzski, che, per stroncarla rapidamente, concentrò contro le poche centinaia di garibaldini ben sei delle migliori Brigate austriache al comando del maresciallo d'Aspre, che si espresse poi in modo lusinghiero sulle qualità militari del nizzardo. La mancanza del sostegno popolare ed il ritardo nella ripresa della guerra da parte del Piemonte fecero rapidamente fallire l'iniziativa, rafforzando in Garibaldi la convinzione che la guerra per bande non potesse avere un carattere decisivo e fosse comunque impossibile da condurre in Italia. Se le operazioni del 1848 e quelle successive del 1849, seppure brillanti, non occuparono grande posto nella carriera militare di Garibaldi, esse contribuirono in maniera determinante alla maturazione del suo pensiero politico. Il suo solido senso pratico lo portò ad individuare nelle discordie fra democratici e moderati e fra unitari e federalisti le vere cause dell'insuccesso. Ne derivò un progressivo dissidio con Mazzini ed il distacco di Garibaldi dal movimento rivoluzionario per aderire alla causa liberale sostenuta dalla Società Nazionale. Sfa già nell'agosto 1854, in una lettera inviata alla mazziniana Italia del Popolo ed indirizzata alla gioventù italiana, Garibaldi affermava Siccome dal mio arrivo in Italia, or son due volte ch'io odo il nome mio frammischiato a dei movimenti insurrezionali ch'io non approvo, credo dover mio manifestarlo e prevenire la gioventù, nostra, sempre pronta ad affrontare i pericoli per la redenzione della Patria di non lasciarsi così facilmente trascinare dalle fallaci insinuazioni di uomini ingannati o ingannatori, che, spingendola a tentativi intempestivi, rovivano o almeno screditano la nostra causa .17)
La rottura con Mazzini era ormai completa: di destra o di sinistra, monarchica o repubblicana, a Garibaldi interessava solo l'unificazione e l'indipendenza italiana. Questo spiega tutto il suo successivo comportamento politico, come la proposta fatta a Vittorio Emanuele nel 1856 di inviare, tra le truppe destinate alla Crimea, una divisione piemontese da sbarcare in Sicilia e soprattutto la linea politica seguita da Garibaldi nel corso della spedizione dei Mille. Non era vero che Garibaldi, come scriveva Cavour a Nigra nel 1860, è uno strumento cieco che lavorerà per il governo inconsapevolmente, ma non sarà lui a raccogliere il frutto delle sue opere . Garibaldi si comportò consapevolmente, con un senso nazionale che poteva sembrare talvolta ingenuità, ma che aveva alla sua base la disponibilità a sacrificare la propria particolare ideologia politica alla causa dell'unità e quindi all'interesse generale nazionale. Questo spiega la sua decisione di consegnare la flotta napoletana all'ammiraglio Persane,
16) G. GARIBALDI, Memorie, nell'Edizione Nazionale, Bologna, Cappelli, 1932, voi. I, p. 66. Solo dopo la favorevole accoglienza di Varese, Garibaldi scrisse: a Natami era in quell'occasione la speranza nutrita tanti anni di portare i cittadini nostri a quella guerra per bande che, a difetto di eserciti, potrebbe preludere alla emancipazione della Patria . Ma presto la speranza muore e Io stesso Luciano Manara, in Piemonte con i suoi bersaglieri lombardi in attesa della ripresa delle ostilità, depreca l'iniziativa di Garibaldi che avrebbe taglieggiato la popolazione, compromesso gli elementi nazionali e rischiato di mettere italiani contro italiani !
17) Scritti e discorsi politici e militari di G. GARIBALDI, a cura della R. Commissione}, voi. I, Bologna, Cappelli, 1934, p. 160.