Rassegna storica del Risorgimento

GARIBALDI GIUSEPPE; VOLONTARIATO
anno <1982>   pagina <414>
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Carlo Jean
della battaglia del Volturno, vìnta dalla capacità operativa di Garibaldi. Si determinò così una stasi nelle operazioni, che fu superata solo con l'afflusso del corpo di spedizione piemontese e con la presa di Capua ad opera del generale Della Rocca al comando di forze regie e garibaldine.
La rivolta contadina ebbe un grosso riflesso sulla perdita della capacità offensiva garibaldina non solo perché fece fallire la leva di massa e impegnò le forze democratico-liberali, ma anche perché aumentò il dissidio politico fra mo­derati e democratici, creando incertezza ed anarchia nelle retrovie. In partico­lare, i possidenti, anche quelli separatisti siciliani, divennero fautori di una rapida annessione, poiché si fidavano più dell'esercito piemontese che di Ga­ribaldi. La situazione di stallo diede a Cavour la possibilità di riprendere in mano la situazione e di togliere l'iniziativa al movimento democratico, e, all'Esercito regolare, quella di intervenire per provocare la completa sconfitta dei borbonici. Tipiche sono le priorità dell'operazione piemontese: prima, liqui­dare l'esercito meridionale; poi, battere i borbonici. Le possibilità di rivolta contadina furono invece completamente sottovalutate e ciò ebbe in seguito disa­strose conseguenze.
La guerra di popolo, che aveva conosciuto la prima sconfitta a Bronte e allo Stretto, conobbe la seconda a Teano. La forza delle cose, che Garibaldi com­prendeva lucidamente, comportava quel risultato. Gli unici appunti che possono essere fatti a Garibaldi mi sembrano quello di aver abbandonato l'Esercito Me­ridionale alla buona volontà dei piemontesi o, per dirla più. realisticamente, ai loro interessi, provocandone così il collasso, e quello di non aver adeguata­mente tutelato i propri dipendenti, come gli aveva consigliato Cattaneo. Que­st'ultimo, realistico come sempre, gli suggeriva in una lettera del 5 ottobre di rinunciare ad opporsi a Cavour, per evitare il rischio di mia guerra civile, ma di sforzarsi di mantenere unite le sue forze, per non perdere ogni potere con­trattuale e per imporre così al partito moderato una certa apertura agli elementi democratici nell'assetto politico del nuovo Stato.
Ma i più stretti collaboratori di Garibaldi lo abbandonarono per allinearsi con Vittorio Emanuele II; il re non passò neppure in rivista i garibaldini; l'esercito meridionale cedette il passo a quello piemontese e venne ritirato dal fronte, mentre Garibaldi partiva per Caprera, abbandonandolo al suo destino. Cavour e Fanti rifintarono di incorporare le cinque Divisioni garibaldine nel­l'esercito, a differenza di quanto era stato fatto per i Cacciatori delle Alpi e per l'Esercito della Lega. La partenza di Garibaldi provocò lo sbandamento dei garibaldini. H suo prestigio ed ascendente assicuravano la coesione e la saldezza dell'Esercito Meridionale. Questo fattore, che era stato positivo allorquando alla spedizione arrideva il successo, divenne disastroso nello scioglimento. Con pic­cole vessazioni ed umiliazioni, si provocò facilmente l'indignazione dei volon­tari. I migliori diedero le dimissioni e tornarono a casa loro. Questo provocò uno sbandamento totale, a valanga. Alla fine di dicembre l'Esercito Meridionale, che si era un mese prima comportato brillantemente a Capua, era completa­mente disperso, senza battaglia. Solo qualche piccolo nucleo di garibaldini meri­dionali combatteva ancora nell'interno contro i contadini in rivolta.
La guerra di popolo, ammesso che tale fosse almeno in parte stata, veniva completamente riassorbita nella guerra regia; la nazione armata nell'esercito di caserma. Fanti aveva con energia e indubbia capacità realizzato il suo programma di costituire un esercito unico sul modello piemontese e non uno mezzo in uniforme e mezzo in camicia rossa, il che avrebbe in pratica implicato l'esi­stenza di due eserciti con rapporti potenzialmente conflittuali. L'Italia, però,