Rassegna storica del Risorgimento

GARIBALDI GIUSEPPE; VOLONTARIATO
anno <1982>   pagina <416>
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Carlo Jean
trastabilmente. Presso di noi il militare è solamente militare, più solamente che altrove, ma con tutto ciò non è completamente militare. Il militare italiano non ha piena la fierezza collettiva, non si fonda su un principio morale asso­luto, ma sulle esigenze di una opportunità variabile ed incerta >.25)
Solo dopo il consolidarsi del nuovo Stato, dopo la buona prova data dal sistema prussiano rispetto a quello francese nella guerra del 1870 e con il muta­mento della situazione internazionale, l'ordinamento dell'esercito venne modi­ficato negli anni settanta con la riforma Ricotti-Magnani. Con essa veniva dato più ampio spazio alle riserve e costituito il Corpo degli alpini, inizialmente concepito come una sorta particolare di guardia nazionale mobile. Ma nel 1860-61, il problema si poneva in termini diversi. Alle speranze che avevano accompagnato il movimento di unificazione nazionale erano in breve seguite l'opposizione e la rivolta nelle campagne meridionali. In tali condizioni è evidente perché la classe dirigente del tempo considerasse che l'unica soluzione accettabile fosse quella di costruire il futuro esercito attorno al nucleo piemon­tese, di adottare un reclutamento nazionale e non regionale e di ricorrere, per dare solidità al nuovo organismo, alla rigida disciplina e centralizzazione delle strutture militari del Regno di Sardegna.
H mito giacobino della nazione in armi e della guerra di popolo fu vivo in tutto il Risorgimento, e spesso fu associato con quello, in teoria romantico, della guerra per bande.
Di fatto, però, non vi fu né guerra di popolo, né guerra per bande. La guerra di popolo, caratterizzata dall'integrale partecipazione fisica e politica della massa dei cittadini, non superò le mura di qualche città, come Milano, Brescia e Palermo. La guerra per bande costituì, a differenza di quanto capi­terà poi nella Resistenza, un fenomeno del tutto marginale.
Ad essa ricorsero più frequentemente, come era del resto avvenuto ai tempi napoleonici, le forze della reazione, specie nelle regioni meridionali, che quelle patriottiche e progressiste.
La campagna, arretrata culturalmente e socialmente, fu soggetto più pas­sivo che attivo del rinnovamento nazionale. Anzi, nella generalità dei casi, al rinnovamento si oppose, poiché esso veniva a modificare abitudini anche reli­giose secolari e tradizioni locali. Su tale atteggiamento influì anche la mancata soluzione del problema agrario specie nel sud ed il sostanziale peggioramento delle condizioni dei contadini nel periodo napoleonico, soprattutto a causa della soppressione di molti usi civici.
Quello che caratterizzò il Risorgimento fu invece il volontariato, che, però, non poteva dar vita ad una vera e propria guerra di popolo, nel senso reale del termine, poiché le sue basi sociali erano troppo ristrette, il numero estrema­mente ridotto e i suoi dirigenti socialmente omogenei con quelli dell'esercito regolare. Questo spiega come poterono essere facilmente neutralizzati e assorbiti dal partito moderato. Solo in qualche caso fu possibile mobilitare tutti i ceti.
Nei più aperti Ufficiali della fine dell'Ottocento viva fu la coscienza del fatto che la decadenza dell'esercito e l'oblio della questione militare trovavano le loro ragioni nella storia del Risorgimento, cioè nel fatto che l'Italia era stata creata dall'opera di pochi, tra l'altro divisi fra di loro, in mezzo all'apatia se
M) A. Z., Verità ingrate, <rit., p. 10.