Rassegna storica del Risorgimento
GARIBALDI GIUSEPPE; VOLONTARIATO
anno
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1982
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Carlo Jean
mento di tipo nazionale armata abbia ritardato il processo di democratizzazione del paese e le indispensabili riforme sociali. Queste critiche perdono molta della loro incisività quando dal piano astratto della teoria si scenda a quello della realtà storica. Anche gli uomini del partito moderato credettero nel popolo e nella nazione e costruirono la matrice per formarli. Avevano anche essi, come i mazziniani, una forte tensione morale, vissuta come partecipazione alla costruzione nazionale. Ne costituisce prova evidente la nazionalizzazione dell'Armata Sarda attuata negli anni cinquanta da La Marmora. Ma i capi del partito moderato erano uomini d'azione, che dovevano tener conto della realtà delle cose, delle forze effettivamente mobilitabili per il rinnovamento nazionale e delle reazioni internazionali.2*)
La nazione in armi presuppone, non determina, coesione sociale, maturità culturale e saldezza politica. È un dato di fatto che dovrebbe essere tenuto ben presente da quanti oggi propongono forme di difesa più o meno destatualizzate o decentrate. Limitazioni ed inconvenienti non derivarono solo dalla volontà del Piemonte di non perdere il controllo del Risorgimento e da quella delle classi liberali di evitare il pericolo che la rivoluzione nazionale si trasformasse in rivoluzione sociale, ma dalla situazione concreta esistente allora in Italia.
In questo quadro va interpretata la figura di Garibaldi, l'eroe più popolare non solo del Risorgimento ma dell'intera storia nazionale. Egli è anche l'uomo in cui forse meglio si sono fuse le due anime del Risorgimento: l'ideale mazzi* niano ed il realismo moderato. Garibaldi non era solo un rozzo soldato privo d'intelligenza, come pensavano Mazzini e Pisacane, strumentalizzabile dalle varie forze politiche. Ritengo che si rendesse benissimo conto della situazione e dei limiti degli spazi politici oggettivi in cui poteva muoversi. Seppe anche sempre anteporre l'interesse generale a considerazioni di parte. Non pretese mai di costituire un'alternativa istituzionale, anche nei momenti di maggior successo della spedizione dei Mille, allorquando sembrava che avrebbe potuto acquisire un'effettiva autonomia. Tale pretesa avrebbe provocato la disgregazione delle forze nazionali. Ciò costituisce senz'altro uno dei suoi più grandi meriti. Il suo comportamento consenti di evitare una gravissima crisi interna ed interna-zionale, che avrebbe potuto compromettere i risultati ottenuti.
Ma ancora più grande è il merito che Cavour così descriveva a Nigra, in una lettera del 9 agosto 1860, proprio nel momento in cui la ragion di Stato imponeva allo statista piemontese di emarginare il generale nizzardo e di scio gli ere l'Esercito Meridionale: Garibaldi a rendu à l'Italie le plus grand service qu'un homme pùt lui rendre. Il a donne aux Italiens confiance en eux mémes: il a prouvé à l'Europe que les Italiens savaient se battre et mourir sur les champs de ha la ili e pour reconquérir une patrie .29)
Questo è il significato profondo e l'importanza delle celebrazioni garibaldine. La ricerca di un'identità e di una coesione nazionali, di cui si avverte sempre più imperiosamente l'esigenza, come punto di riferimento specie nei periodi di profonde trasformazioni in cui viviamo e di caduta di utopie e di miti internazionalisti. Ciò è necessario non solo per l'efficacia della difesa militare, ma anche per il progresso o quanto meno la stessa sopravvivenza civile, sociale e pubblica. Senza il recupero delle motivazioni ideali della nostra iden-
a> A. OMODEO, Difesa del Risorgimento, Torino, Einaudi, 1951, pp. 433444. 30 Il Carteggio Cuvour-Nigra, cit., p. 145.