Rassegna storica del Risorgimento

CRISPI FRANCESCO CARTE; MANCINI PASQUALE STANSLAO CARTE; MUSEO
anno <1983>   pagina <472>
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Libri e periodici
vicino finché non si profilò la soluzione diplomatica del problema, che rendeva inutile, anzi pericolosa l'alleanza con il ligure. Ma l'immediato avvenire conclude Marcelli riservava a Garibaldi, e alle sue idee e convincimenti, una folgorante rivincita .
Viene comunque da aggiungere, a semplice integrazione dell'affermazione del relatore, che la storia ha saputo riconoscere i metodi e gli uomini più meritevoli: se felice è stato Garibaldi con l'impresa del 1860, altrettanto felici, tempestivi ed opportuni sono stati i moderati nel 1859.
VINCENZO G. PACIFICI
G. Garibaldi 1805-1882: storia, letteratura, immagine. Atti della giornata di studio tenuta a S. Maria Capua Vetere il 29 maggio 1982; S. Maria Capua Vetere, 1983, in 8, pp. 143. S.p.
È perfettamente naturale, ma tuttavia patetico e commovente, che, ancora nell'ultimo anniversario della battaglia del Volturno che gli fu dato ricordare in vita, nell'ottobre 1881, Garibaldi manifestasse il suo orgoglio ai cittadini di S. Maria Capua Vetere per averli avuti compagni nel debellare i nemici dell'Italia .
A lui non sfuggiva senza dubbio, come non sfugge oggi a noi, il significalo profondo dell'impegno collettivo di una comunità urbana nell'ambito del maggiore sforzo tecnico militare che la campagna del 1860 aveva richiesto ed imposto, un embrione di nazione armata proprio nel momento culminante della crisi dell'annessione, in cui il risultato bellico e la misura del consenso si fronteggiavano in difficile equilibrio per far precipitare la situa­zione in senso sabaudo o addirittura per rimettere in forse la stessa soluzione unitaria, con Vittorio Emanuele che campeggiava ad Ancona ma si guardava bene dall'approssimarsi al Tronto.
Il Volturno decise militarmente le sorti del regno borbonico anche se non segnò l'apice della stella garibaldina, ne affrettò anzi e ne rese irreparabile il declino dinanzi al sopraggiungere di un re che le istanze dei galantuomini sollecitavano ormai non meno pressantemente nei confronti della camicia rossa che di quelli dell'insorgenza neosanfedista.
Non direi peraltro che questo condizionamento ambientale si avverta troppo, ed anzi neppure che lo si senta a sufficienza, negli atti di una giornata di studio che ha teso a proporre una rilettura ed una certa forma d'interpretazione del Garibaldi for ever anziché, nello specifico, il condottiero dei Mille, e men che meno il segno di contraddizione del primo concitato definirsi della questione meridionale.
Luigi Parente ha avuto buon gioco, in una prospettiva come questa, a reagire vigoro­samente contro l'uso strumentale e gastronomico del centenario ed a condannare con pari durezza la fase farsesca di quella che da leggenda ha minacciato di diventare favola garibaldina più o meno fumettistica, a mezzo tra Ivanhoe e Sandokan, come suona il titolo eclatante del pamphlet sintomaticamente fortunatissimo di Omar Calabrese, fase che, aggiunge opportunamente Parente, è la più dura a scomparire, quella che pregiudica in definitiva una lettura problematica, cioè storica, della conoscenza dei fatti umani .
Senonché di quest'ultima, nelle pagine che seguono, del medesimo Parente, non è che venga fuori gran cosa, ed io, che molti anni or sono mi sono occupato di quello che ebbi l'ardire di etichettare pensiero politico del generale, e più tardi della sua eredità demo­cratica e radicale, ho sentito riecheggiare in quelle pagine motivi che mi erano tutt'altro che nuovi e che il centenario ha contribuito a rendere se non altro di larga diffusione.
Anzi, quando Parente reputa conclusa con Mentana, e quindi col 1867, la partecipa­zione attiva di Garibaldi al caso Italia , egli mostra di prescindere troppo drasticamente appunto dalla eredità che è proprio il risvolto concreto e realistico della leggenda ,