Rassegna storica del Risorgimento

CRISPI FRANCESCO CARTE; MANCINI PASQUALE STANSLAO CARTE; MUSEO
anno <1983>   pagina <475>
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Libri e periodici
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napoleonica e che visse i travagli del Risorgimento in modo indiretto. I diversi saggi che compongono il testo, sono però legati da un filo conduttore ben preciso, sorretti da una ricca bibliografia critica.
I migliori capitoli del volume sono i primi due, che riguardano il giacobinismo e la massoneria sardi dal 1793 al 1798 e su di essi ci soffermeremo maggiormente.
La figura più importante tra i novatori è quella di Giovanni Maria Angioy che si trovava nel 1793 ad ospitare a Cagliari un club giacobino, mentre presso l'avv. Salvatore Cadeddu ve ne era un secondo. Quell'anno i sardi avevano respinto il tentativo di sbarco francese di soldati e agitatori come Filippo Buonarroti e Luciano Bonaparte, ma una cerchia di massoni, borghesi, religiosi ed intellettuali aveva raccolto adesioni alle idee cosidette giacobine, che tuttavia ben si differenziavano da quelle continentali specie per la mancata adesione ad un programma nazionale unitario. Dopo i moti del 1796 i giacobini furono tuttavia dispersi da violente repressioni poliziesche.
Nel 1800 a Thiesi e S. Lussurgiu scoppiarono moti popolari anti-nobiliari, aiutati anche dal basso clero, ma il potere li sedò facilmente e condannò alcuni caporioni a morte. Si può anche ricordare il tentativo di ribellione anti-sabauda del parroco di Torralba Sanna Corda e di alcuni pastori che poi furono giustiziati, del frate Gerolamo Podda e di altri. Non meraviglia trovare molti nomi di sacerdoti tra i giacobini: nella Cisalpina e nella Partenopea vi furono molti religiosi che aderirono al nuovo ordine. Anche un altro rivolu­zionario sardo, amico dell'Angioy, portava l'abito talare: era Salvatore Frassu, deceduto nel 1857, seguace del Vangelo, ma anche della giustizia. In sostanza i giacobini sardi speravano nell'intervento liberatore della Francia per affrancare l'isola dalla secolare miseria ed abiezione.
Non poche furono le vittime di tali generosi quanto ingenui tentativi rivoluzionari. In verità mancò sia un qualsiasi piano insurrezionale, sia un serio contributo di pensiero, per cui le varie azioni spontanee non ebbero possibilità di successo.
L'autore del volume opportunamente pubblica in nota una relazione al Viceré del giudice Valentino, incaricato, con altri magistrati, d'istituire il processo contro i seguaci dell'Angioy fin dal 1796: si nota che le accuse erano di saccheggio e di altro, ma non tocca­vano affatto i motivi socio-politici delle insorgenze.
Rimane il fatto che nel sud Italia e altrove, le plebi avevano fatto causa comune con i loro oppressori blasonati e con i governi monarchici, in Sardegna esse, interpreti delle antiche esigenze autonomistiche, si fecero invece interpreti del malessere collettivo, almeno in parte,
A questo punto non si può non osservare che sarebbe stato preferibile che i fatti fossero stati narrati in ordine cronologico e che l'opera dei giacobini fosse analizzata più a fondo; ciò avrebbe facilitato la lettura e l'interpretazione dei torbidi. Rimangono in sospeso diversi quesiti: per esempio il lettore avrebbe forse gradito che i rapporti "tra l'Angioy, rifugiato nella vicina e consorella Corsica, ed i giacobini italiani e francesi che in essa agivano, fossero chiariti in modo decisivo. Ma il volume si è posto, come si è detto, l'obiettivo di svolgere una visione d'insieme, sia delle insurrezioni popolari, sia delle feroci repressioni che seguirono e di evidenziare l'affinità tra massoni e giacobini, che del resto è stata ampia­mente dimostrata anche altrove. Interessante è tra l'altro l'affermazione che gli ebrei siano entrati attivamente nel gruppo dei novatori.
Nella seconda parte viene trattato anche l'argomento della Massoneria sarda durante l'età risorgimentale. La prima loggia fu fondata a Cagliari da Pietro F, Lachenal, mentre non è provata l'esistenza di una seconda a Nuoro. Il fine era prevalentemente di propaganda patriottica, visti i rapporti con la Società Nazionale e con il La Farina. Alcuni fogli come il Giornale di Sardegna svilupparono dal canto loro una violenta pubblicistica anti­clericale.
I cattolici sardi, tuttavia, non erano tutti sulle posizioni integraliste del vescovo De Martis: basti ricordare sacerdoti e prelati come mons. Montixi, che contestavano sia il potere temporale della Chiesa, sia il dogma dell'infallibilità papale.
Anche i massoni d'altra parte non erano tutti galantuomini come Giorgio Asproni,