Rassegna storica del Risorgimento

CRISPI FRANCESCO CARTE; MANCINI PASQUALE STANSLAO CARTE; MUSEO
anno <1983>   pagina <492>
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Libri e periodici
momenti e problemi delle indagini ed interpretazioni precedenti, sia pur limitatamente a quelle di maggior interesse. L'autore sì è affidato, per risolvere questo delicato problema d'impostazione generale, ad un ricorso insistente (che si potrebbe definire talora eccessivo) a lunghe citazioni degli autori da lui prescelti come punto dì riferimento prioritario per la sua ricostruzione della Yita, dell'opera e dell'influenza politico-letteraria di Gabriele D'Annunzio. Metodo per molti versi efficace e che presenta fra l'altro il vantaggio di offrire direttamente al lettore un ampio e mosso panorama degli esiti attualmente più significativi della critica dannunziana: ma che applicato con cosi pertinace assiduità porla non solo ad una certa frammentazione espositiva, ma rischia talora di sfiorare i limiti della contrad­dittorietà. In altre parole, pur restando grati all'autore per la ricca e suggestiva gamma di strumenti analitici e interpretativi tanto generosamente messi a disposizione, difficilmente si resiste poi al rammarico (tale per lo meno è stata la sensazione di chi scrive) di non averlo più decisamente al fianco, in prima persona, lungo tutto lo sconcertante itinerario del­l'avventura privata e pubblica di D'Annunzio.
Un tipico esempio del genere di procedimento or ora indicato, che può provocare qualche confusione e perplessità nel lettore non troppo distratto, è facilmente individuabile nel paragrafo del secondo capitolo (La maturità creativa), intitolato Istanze "antibor­ghesi" e borghesia . Il tema toccato non è di scarsa rilevanza, sia per quanto riguarda i risvolti politici dell'attività letteraria del giovane D'Annunzio, che per quel che concerne, in senso più lato, il clima socio-culturale del tempo. Delle sei pagine dedicate all'argomento, i quattro quinti circa consistono in ampie citazioni di autori come Joachim Fest (il noto biografo di Hitler), Arcangelo Leone De Castris, Sergio Solmi, Alberto Asor Rosa, Giuseppe Petronio, oltre a due più brevi passi tratti da Angelo lacomuzzi ed Ezio Raimondi. Privi di una sufficiente mediazione critica autonoma da parte dell'autore, questi accostamenti cosi serrati finiscono con il confondere le idee al lettore piuttosto che chiarirle su una questione di così nodale importanza; tanto più che tali accostanmenti spaziano dalle concitate farneticazioni del Leone De Castris (del quale lo stesso Alatri rileva poco oltre, con delica­tezza di tocco, la tendenza a una certa dose di forzatura ideologizzante nella sua lettura di testi letterari come Alcione), alle ben più meditate e persuasive considerazioni di un Solmi e di un Asor Rosa. A tutto questo riguardo, comunque, qualche riserva di carattere più specifico si potrebbe avanzare sul modo in cui viene presentato, nel complesso del­l'opera, il rapporto: D'Annunzio-nazionalismo imperialistico-borghesia italiana. Se ne trae talvolta l'impressione di venir posti di fronte ad una vera e propria trinità (seppur certo non santissima), con la comoda riduzione di un rapporto di connessione tutt'altro che semplice e scontato, e tanto meno univoco, ad una realtà storica una e trina in cui le tre persone che la compongono vengono a costituire, pur mantenendosi distinte, una unica ipostasi.
Pieno consenso merita quello che è uno degli attributi più significativi di questa biografia: il giusto quanto difficile equilibrio fra vita pubblica e privata, fra esteriorità e interiorità del personaggio, in un intreccio critico e narrativo sempre finemente dosato. Una biografia che è pure esempio raro di come ci si possa accostare, per studiarlo a fondo, ad un soggetto che ispira ben poca o anche nessuna simpatia umana o attrattiva intellettuale, con animo sereno e con pieno rispetto delle regole della probità scientifica, senza fremiti di indignazione, ma anche senza artificiose indulgenze come granello d'incenso bruciato sull'altare di una distaccata obiettività storica.
ALBERTO AQI/ARONE