Rassegna storica del Risorgimento
CARTEGGI (SETTEMBRINI-PANIZZI); PANIZZI ANTONIO; SETTEMBRINI LU
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1984
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Anna Pessina
con lui più la via dei fatti che quella delle parole. Ella sa che coi fanciulli e coi popoli si dee più fare che parlare. Raffaele ha parole molte, e confida assai nelle parole, e ne abusa. Io gli ho scritto quel che ho potuto e saputo, non ho fatto più perché il cuore non mi reggeva, considerando che ella ha dovuto e deve essere contristata da un giovanetto a cui ha fatto e fa un benefizio inestimabile. Se Ella facesse tanto benefizio non per natura dell'animo candidissima che apparisce in tutte le sue azioni e in ogni riga delle sue lettere, ma per volere amore e stima: invece dell'amore di codesto figliuolo ingrato, io le offrirei i sentimenti che mia moglie ed io abbiamo per Lei: ma Ella opera per moto di anima generosa, e trova in se stesso il compenso delle sue azioni. Ma Signore, è pur vero che chi benefica gli uomini deve star pronto a sofferire il dolore della ingratitudine. Io non posso darmi pace che questo ingrato sia mio figlio. Ma giacché Ella ha cominciata quest'opera che non solo è pietosa ed umana, ma italiana ancora e cittadina, deh la segua per altro tempo: mi dica quei difetti che egli ha, i fatti che commette, e se crede la voce sua lontana potrà giovare, io non mancherò mai di scrivergli parole fortissime per farlo rinsavire e correggere. Io spero che ei voglia aprir gli occhi, conoscersi inferiore ai giovanetti suoi compagni, e studiarci di divenire onesto e leale.
Io più non le dico perché non so che dirle intorno a cotesto Raffaele, che mi turba il pensiero e mi empie di amarezza il cuore .6)
In questa lettera si avverte forse per la prima volta la delusione del padre che sente di dover richiedere per il figlio, non più solo l'amore e la comprensione, ma anche la fermezza e la durezza di una rigida educazione.
Seguirono così i primi severi provvedimenti nei confronti di Raffaele, il quale, dopo un anno di permanenza a Londra, fu mandato nuovamente in Italia; non a Napoli però, bensì a Torino, dove fu affidato dal Panizzi a due suoi amici, Ambrogio Berchet e Angelo Mengaldo,7* uomini egregi, che insieme ad altri esuli napoletani, amici e conoscenti del padre, si presero cura del giovane. Senonché, sottolinea ancora il Settembrini, tutti questi gli volevano bene, gli tenevano gli occhi addosso, gli facevano continui sermoni: ma egli non era giovane da sermoni, con boria giovanile si teneva pari a chicchessia, e diceva di non voler tanti padri addosso: sicché molti non gli vollero più bene e non si curarono più di lui, tranne il Berchet e il Mengaldo sempre amorosi . Settembrini scrisse allora una lettera a Raffaele, in cui lo esortava a prendere una via qualunque , a non essere più soggetto a nessuno , a intraprendere subito una professione, un'arte, un mestiere . Ed ecco la sua risposta: Padre mio caro e sventurato. Voi mi consigliate di scegliere qualunque arte o mestiere, ed io voglio fare il marino. Sarò subito capitano, avrò un legno ed uomini al mio comando, e verrò a liberarvi. Questo è il fine perché ho scelto la marina. Il Generale ha approvata la mia scelta: ed ha fatto già un contratto col capitano Bozzano che comanda il brick il Daino, e va a Montevideo, di pigliarmi seco a bordo e di insegnarmi la teoria e la pratica. Tra breve dunque sarò in America. Si recò infatti a Montevideo dove rimase per tutto l'anno 1853 e l'inizio del 1854.
6) La continuazione della lettera sta in Lettere dall'ergastolo eit., pp. 127 sgg.
7) Su di loro cfr. L. SETTEMBRINI, Lettere edite e inedite clt ad indicem.
8) cfr. L. SETTEMBRINI, Notizia cit. pp. 533 sgg.