Rassegna storica del Risorgimento

ARCHIVIO BATTISTI; BIBLIOTECA BATTISTI
anno <1985>   pagina <62>
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Libri e periodici
diretta dei valori che venivano proclamati, finiva per fargli intuire una nuova e più sofisticata forma di oppressione e per spingerlo verso il male minore della conservatone e della reazione (p. 53): l'assenteismo e il mantenimento dei rapporti arretrati di produ­zione che perpetuarono di fatto fino ai nostri giorni lo stato feudale dell'agricoltura della zona quando, con l'usurpazione quasi sistematica e con la liquidazione delle terre dell'asse ecclesiastico nel '67, essa riuscì ad erodere quasi completamente la proprietà nobiliare; la cattiva amministrazione e l'irrazionale gestione delle risorse che finì per condurre ad un ulteriore abbassamento della tensione morale del paese, allo sfascio economico, cultu­rale lp. 48) e all'esodo continuo dell'emigrazione tra la fine dell' '800 e gli inizi del '900. Senza voler entrare noi merito delle singole contestazioni e dei gravi limiti che indubbiamente contrassegnarono l'azione della borghesia nel meridione, per un'analisi più completa e serena sarebbe stato opportuno, a mio parere, riservare il dovuto rilievo ai motivi principali che determinarono l'insufficienza della nuova classe dirigente e che non si possono semplicemente ridurre alla miopia e al machiavellismo. Come è stato ampia­mente acquisito in sede storiografica, c'erano problemi di fondo le cui radici venivano da molto lontano: fortemente compressa per secoli in un'economia fondiaria dominata dallo strapotere baronale e insufficientemente protetta da un potere centrale troppo spesso latitante, la borghesia meridionale si era andata sviluppando soprattutto come ceto profes­sionistico e impiegatizio ed era troppo scarsamente rappresentata nel mondo vivo del lavoro. A differenza che altrove, essa non si era creata un adeguato entroterra, una sufficiente ramificazione industriale e commerciale di base, una mentalità imprenditoriale capace di conferirle dal di dentro forza e iniziativa nei vari settori produttivi. È proprio questa debolezza cronica il difetto di origine a cui si deve riferire in gran parte l'incapa­cità della classe emergente, una volta liberata dai vincoli feudali, di promuovere il rinno­vamento del tessuto economico-sociale e di andare oltre i vecchi sistemi di sfruttamento. Anche l'ambiguità della sua proposta aveva una larga componente nell'intima consape­volezza della propria fragilità e nella diffidenza verso le masse rurali che sentiva troppo lontane dai suoi ideali e che temeva per la forza potenziale. È vero, era il popolo che avrebbe dovuto poter scegliere; ma. pur condividendo il sentimento di profonda parteci­pazione con cui l'Autore ne interpreta le esigenze vitali, non ci si può nascondere che nella maturazione di una moderna presa di coscienza esso risentiva chiaramente dei ritardi dovuti agli effetti negativi dei precedenti regimi assolutistici. Erano ancora troppo profondi i segni dell'asservimento strumentale che avevano a lungo voluto le forze conservatrici laiche e religiose che non miravano certo, neppure teoricamente, alla consapevolezza civile e all'affrancamento. Stretta tra la vecchia e la nuova voracità e in assenza di un prole­tariato operaio che fungesse da forza trainante la popolazione rurale avvertiva nettamente il proprio stato di inferiorità e rispondeva in modo istintivo e incoerente, ancora incapace di una visione e di una organizzazione sufficientemente razionale ed autonoma di contrat­tazione e di opposizione secondo i propri interessi. Paura del popolo, paura della borghesia: furono due debolezze che contribuirono notevolmente a viziare fin dall'inizio i rapporti e la sincerità dei programmi. Anche in questo sta il significato dell'amara denuncia di Carlo Pisacane nel Saggio sulla rivoluzione: Chi può, senza mentire a se medesimo, affermare che le sorti del contadino e del minuto popolo, verificandosi i concetti dei presentì rivoluzionari, subiranno tal cangiamento da meritare le pene e i sacrifici neces­sari a vincere? .
DANTE MARINI
ANGELA MARIA GIRELLI, Le terre dei Chigi ad Ariccia (secolo XIX) (Istituto di Storia economica Facoltà di Economia e Commercio dell'Università degli Studi di Roma); Milano. A. Ghiffré. 1983, in 8, pp. xn-267. L. 15.000.
Parlando della famiglia Chigi nell'Ottocento romano vengono in mente per associa­zione alcuni argomenti di studio: LI diario di don Sigismondo, la carica di Maresciallo del