Rassegna storica del Risorgimento

anno <1985>   pagina <375>
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Libri e periodici 375
dallo stesso Archivio, con la collaborazione del Museo del Risorgimento e della Circoscri­zione Centro Cittadino di quel capoluogo, tenutasi dal 2 al 15 maggio 1983.
Per chi non abbia avuto la fortuna di visitare la mostra, ma sia interessato a ricostruire i più vari e generali aspetti della guerra del 1866, anche la consultazione della sola pubblicazione non può non costituire oggetto di curiosità ed occasione di più larghe riilessioni.
Sono infatti offerte al lettore due raccolte dì riproduzioni di interessanti documenti storici. Da una pai-te, la serie completa del tiollettino dei Telegrafi un foglio volante pubblicato a Ferrara in coincidenza col periodo di operazioni belliche tra il giugno e l'agosto del 1866. Dall'altra, una scelta di documenti pubblici e privati (riguardanti la condotta militare deil'amm. Versano a Lissa ed il giudizio che il Senato, riunito in Alta Corte di Giutizia, dovette poi emettere su questo argomento) tra quelli ancora conservati presso l'archivio personale del sen. Borgatti di Cento, al tempo Guardasigilli del Regno. La raccolta del Bollettino dei Telegrafi, con la forza rievocativa delle riproduzioni anastatiche, ci aiuta a ripercorrere le vicende della guerra e le caratteristiche dell'azione italiana: ualla contradditoria preparazione diplomatico-militare, alla lenta mobilitazione, al annoile concentramento delle truppe, alla illogica soluzione data al problema del Comando Supremo. Da qui, come in un pendio inarrestabile, deriva la divisione delle forze in due distinte masse di manovra, il primo e pesante risultato di Custoza, la (troppo) lunga inazione tattica e strategica sul campo di battaglia (solo a tratti rotta da qualche impresa garibaldina), le eccessive attese per una più fortunata azione bellica marittima, sino alla brutta pagina scritta da Versano a Lissa.
Nel non vicino passato la storiografia è tornata più volte a riflettere su quelle amare giornate: ma negli ultimi anni pochi studi vi sono stati dedicati. Ci sono, ovviamente, buoni motivi per cui la guerra del 1866 sia stata messa in disparte , e per cui gli ultimi studi di grande valore siano quello, ormai lontano negli anni, di Piero Pieri (che ebbe a dire che il 1866 nell'insieme sembrò mostrare più le vecchie deficienze italiane e le conseguenze di rapide improvvisazioni che non i brillanti frutti della miracolosa unifica­zione ) e gli Atti del congresso dell'Istituto per la storia del Risorgimento in occasione del Centenario. A frenare la curiosità dei ricercatori ha valso certo il fatto che le principali vicende e i più importanti eventi siano ormai noti. Ha poi avuto il suo peso, a sfavore di nuove ricerche sulla terza guerra d'indipendenza, l'ammissione implicita che il 1866 non costituiva certo uno dei momenti più esaltanti della storia nazionale, un po' per la piccola parte che l'Italia vi ebbe a confronto delie altre potenze europee, un po' per la non buona prova che vi fecero le varie strutture politiche e militari del neocostituito Regno d'Italia.
Oggi sarebbe necessario un esame attento e ravvicinato dei reale funzionamento delle strutture del nuovo Stato, dei suoi meccanismi, dei suoi poteri . Ed in questo senso il conoscere già il reticolato degli evend dovrebbe favorire piuttosto che ostacolare gli studi. E non si può dire che manchino i nuovi orizzonti entro cui inscrivere nuove ricerche. Si pensi per esempio al grande tema dei rapporti tra autorità politiche e militari. A questo proposito sono già noti i contrastanti scambi tra Ricasoli e La Marmora. Ma ad un altro livello e con un'altra (seppur più limitata) portata è con quest'ottica che potrebbero essere oggi di nuovo studiate, sempre procedendo per esempi, le vicende che portarono al giudizio senatoriale sull'operato deil'amm. Persano.
Si rifletta con attenzione: un'assemblea politica, seppure sui generis quale era quella della Camera Alta italiana, che giudica una delle più alte autorità militari. questo nel Regno d'Italia uscito da quel vecchio Regno di Sardegna che era, come diceva Carlo Corsi, lutto soldatesco e dove governare voleva dire comandare, e dove pareva non potesse esservi valida autorità di comando senza divisa o grado militare .
Certo, come avrebbe detto Farncti, lo Stato Italiano era ancora monoclasse , e i suoi massimi esponenti (politici, militari o amministratori che fossero) erano espressione di uno stesso ceto sociale e culturale.
Ma si pensi ugualmente alla prova di forza, di carattere, di autonomia che la scelta di mettere in stato di accusa un militare doveva a quel tempo rivestire per la