Rassegna storica del Risorgimento

anno <1985>   pagina <377>
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Libri e periodici 377
zonis. L'autore, infatti, dedica larghissima attenzione all'azione volta dai conservatori nazionali nelle due città, in cui furono maggiormente presenti, Napoli e Roma, e nella seconda parte dello studio pubblica 102 lettere inviate da Cenni a Paolo di Campello negli anni dal 1881 al 1898. Nei primi due capitoli Mazzonis ripercorre le intenzioni pratiche e gli obiettivi politici dei cattolici transigenti nelle varie fasi elettorali vissute e nell'ex-capitale borbonica e nella nuova capitale dello Stato unitario, intenzioni e obiettivi che si compendiavano in una preparazione verso le più impegnative mete nazionali. Nel terzo capitolo, poi, l'autore, dopo aver sottolineato i lati positivi nella presenza parla­mentare, vede nel 1874 l'inizio di una serie di vicissitudini, di un periodo decisamente nero per le speranze dei nostri conciliatoristi .
Assai accorta e, per molti versi, convincente è l'analisi globale fatta da Mazzonis: i conservatori nazionali , preoccupati della separazione tra potere politico e religione, tesero senza successo alla conciliazione tra trono ed altare in una prospettiva, in astratto non assurda e non priva di fondamenti. Ma la domanda sul loro peso storico, che Mazzonis si pone, può divenire senza difficoltà generale ed assoluta. Hanno avuto mai successo, hanno mai concretamente costruito per il futuro coloro che hanno confuso Dio e Cesare, coloro che non hanno mai separato effettivamente il temporale dallo spirituale, utilizzando l'uno per l'altro?
Le lettere di Cenni a Paolo Campello della Spina, a quello stesso aristocratico spoletino al quale nel 1982 Mazzonis ha dedicato una lodevole monografia, rendono, in un cammino cronologico non breve, quasi tangibili i rapporti tra la borghesia forense emergente e la nobiltà, non rassegnata ad avere almeno ridimensionato negli anni e dai tempi un ruolo di preminenza, da secoli indiscusso.
VINCENZO G. PACIFICI
ANGELO SEMERARO, Cattedra, altare, foro. Educare e istruire nella società di Terra d'Otranto tra Otto e Novecento; Lecce, Milella, 1984, in 8, pp. 255. L. 18.000.
Per la verità il foro, e cioè le classe dirigente di formazione robustamente ed orgogliosamente umanistica come quella leccese, a permeare anche la versione democratica del Brunetti e quella socialista dello Stampacchia, in differenziazione istruttiva così nei confronti della prosa giolittiana amministrativa del Pellegrino come delle configurazioni classiste dell'organizzazione socialista, la riformista del Prampolini a Brindisi, la rivolu­zionaria del Sangiorgio a Taranto (e non si parla per quest'ultima città del problema tutto particolare del corporativismo degli arsenalotti né dell'eredità del cattolicesimo sociale di stampo leoniano stretto intorno ad una personalità d'eccezione come quella dell'arci­vescovo Iorio) il foro, dicevamo, si vede poco, se non in funzione degli altri termini del trinomio, ed è gran peccato, perché Terra d'Otranto, a differenza, ad esempio, di Capitanata, è invincibilmente patria privilegiata ed individualistica di notabili, conservatori o repub­blicani che siano, in conseguenza dell'atmosfera integralmente clericalizzata e soprattutto feudalizzata in cui è vissuta per secoli, un monstrum anche all'interno del regno di Napoli che non è certo trascorso senza lasciare tracce profonde specialmente d'ambiente e di costume.
E sono questi ultimi appunto, direi quasi naturalmente, i protagonisti obiettivi del bel libro di Semeraro, un'indagine essenzialmente di comportamento, di mentalità, e quindi tra l'antropologico ed il pedagogico, pur sulla base dell'imponente, accanitamente ricercata ed utilizzata, documentazione archivistica e soprattutto pubblicistica che le è alle spalle.
Perciò i maestri, da un lato, ed ì loro corrispondenti ed interlocutori privilegiati, ispettori, sindaci, consiglieri provinciali, dall'altro, assai più sfumatamente, ma non meno incidenti e presenti, i buoni padri e le zelanti sorelle, intrecciano in questo libro un discorso a distanza che non è quasi mai di collaborazione e neppure, a ben vedere, di rivalità e concorrenza, divergenti essendo le rispettive prospettive, l'istruire, appunto, e l'educare, salvo quest'ultima tematica a grandeggiare e sorverchiare, per i motivi ambientali