Rassegna storica del Risorgimento

MOLISE STORIA SEC. XIX
anno <1985>   pagina <405>
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// Molise ottocentesco
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dei fratelli Bigida, e nobilitate a Casacalenda dal vecchio demanialismo professionistico di Domenico Di Gennaro, non a caso salutato a fine Otto­cento da Alfonso Perrella, e dalla cultura municipale radicaleggiante e massonica che a lui faceva capo, come vero e perfetto martire per aver difeso a prezzo della vita un paio di migliaia di ettari dell'università contro le masse albanesi affamate non soltanto di terra, scatenategli contro stru-mentalisticamente dai duchi Di Sangro.*)
Ma se a fianco di questi ultimi, portando a compimento un processo disgregativo della proprietà collettiva e di quella ecclesiastica che nel Basso Molise risaliva almeno alla fine del Cinquecento, in un'atmosfera costan­temente tipica del terrorismo aristocratico, si schieravano senza indugio i proprietari usurpatori, ed aspiranti latifondisti, dagli accennati Norante ai Cappuccilli di Colletorto, e dai Baccari di Bonefro a Nazario Campofreda da Portocannone, anche gli esponenti giacobini, nella medesima zona par­ticolarmente attivi e vivaci, Nicola Neri ed Andrea Vallante, non rispar­miavano l'università in quanto tale con taglie e saccheggi, a Provvidenti, Ururi, Campomarino, fin nell'interno a Civitanova, a ribadire che l'indivi­dualismo è il protagonista autentico del 1799 molisano, così nelle sue valenze reazionarie come in quelle più. o meno genuinamente progressiste, secondo quanto si sarebbe visto ancora una volta in modo esemplare a Campobasso, con la strage del mastrogiurato Domenico Lucarelli, estremo simbolo delle concordie municipali secentesche, e con l'armistizio venuto di conseguenza in essere tra la strapotenza proprietaria dei Salottolo ed il tecnicismo razionalizzatore e professionistico dei Musenga.
Moltissimi birboni d'Isernia, uniti ad altri dei convicini paesi, invece di accorrere alla bisogna dello Stato con amore e zelo, minacciavan saccheggi, furti, carcerazioni a lor talento, sotto l'effimero pretesto di giacobinismo, senza timor della giustizia, e si vedea che il tutto tendea ad arricchirsi con beni altrui.
Queste parole del Iancianese Raffaele De Giorgio, mandato nel 1800 quale governatore ad Isernia9) tratteggiano bene la paura del comunismo, per dirla con un termine d'effetto, ma qui forse meno improprio che altrove, quale ispiratrice caratterizzante di una restaurazione borbonica nel Molise intesa con chiarezza in senso esclusivamente repressivo (anche ad Isernia è significativo il passaggio delle consegne dal demanialismo di vec­chio stampo di Giuseppe Iadopi all'intellettualismo paternalistico, e politi­camente disponibile, del figlio Vincenzo) che il non ancora ventiquattrenne Biase Zurlo, inviato quale visitatore economico a Campobasso10) e carteg-
per le vicende che si delineano con estrema sommarietà nel testo si vedano PERRELLA, op. cit passim, D. GRAVINO, / giacobini molisani dopo il 1792, Campobasso, 1901, G. ZARRILLI, // Molise dal 1789 al 1860, Campobasso, s.d., A. PERRELLA, Effemeridi della provincia di Molise, Campobasso, 1890, p. 329, M. COLOZZA, Frosolone dalle origini all'eversione del feudalismo, Agnone, 1931, p. 228.
9) Vedile in MATTET, op. eli., II, P- 563.
UD IL LALLI, Biase Zurlo, in Archivio storico molisano, 1978, p. 87,