Rassegna storica del Risorgimento

MOLISE STORIA SEC. XIX
anno <1985>   pagina <409>
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Il Molise ottocentesco
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della formazione di un'autentica burocrazia ministeriale, quella capacità manageriale, insomma, che, grazie esclusivamente alle opere pubbliche, aveva consentito a Campobasso di attraversare pressoché indenne la bur­rasca della carestia del 1817 che avrebbe fatto nel Molise non meno di ventimila vittime e determinato una trasformazione agronomica assolu­tamente radicale, a partire dall'exploit della patata, che fin dal 1818 Pompeo Petitti quale presidente della società economica poteva salutare in termini enfatici
miniera inesausta della pubblica sussistenza... Non più la fame, la carestia, potrà spandere il suo vigore
e che nel 1823 Raffaele Pepe constatava diffusa in dimensioni sorpren­denti fino al raddoppiamento in vent'anni della superficie a mais, che pure il Petitti avrebbe voluto controllare a beneficio appunto della patata, e che ancora il Pepe constatava nel 1827 meravigliosamente allargata, a non parlare del grano, a cui il distretto di Campobasso riservava nel 1831 il 70 della superficie agraria disponibile, uno sfruttamento integrale e siste­matico delle risorse, insomma, che permetteva di reggere all'incremento demografico, mantenutosi, nel trentennio tra il 1820 ed il 1850, al livello complessivo del 30.
È quanto mai istruttivo che, in questo stato di cose, a ribadire il crescente scollamento tra realtà strutturale della regione, perfettamente organica ed integrata aU'amministrativismo borbonico, e sua rappresen­tanza politica e culturale ormai sopravvissuta a se stessa nel mito del Settecento riformatore, la deputazione molisana al Parlamento del 1820 forse costituita di massima dagli uornini della sinistra del Biferno, che quel mito avevano vissuto ed interpretato in prima persona, Gabriele Pepe, Amodio Ricciardi, Nazario Colaneri, con Luigi Galanti a vivente simbolo della continuità tra passato e presente, le zone emarginate, insom­ma, rispetto ad una Campobasso che si provvedeva del cimitero ed irrobu­stiva il suo borgo, sì da destinare al fìtto già il 61 del centro storico, e ad una Isernia che impostava in forme monumentali la sua nuova catte­drale e si forniva d'illuminazione, quella continuità paternalistica e morali­stica, semmai, di cui il De Luca ed il Giampaolo risultavano in realtà i più autorizzati interpreti, con le loro cattedre di religione, le memorie agrono­miche contro l'abuso della cerealicoltura, i catechismi sui modi di rime­diare all'immoralità proveniente dalle ultime vicende politiche.2)
19) R. LALLI, / consigli provinciali del Molise 1807-1812, Campobasso, 1981, pp. 26 sgg., 83 sgg. e l'introduzione del medesimo A. a G. ZURLO, Rapporto sullo stato del Regno di Napoli, Isernia, s.d. [ma 1981] e soprattutto A. MASSAFRA, Orientamenti culturali, rapporti produttivi e consumi alimentari nelle campagne molisane tra la metà del Sette­cento e l'Unità in edizione definitiva in Campagne e territorio nel Mezzogiorno fra Sette' cento e Ottocento, Bari, 1984, pp. 37-131, passim.
20 D'ANDREA, op. cit., p. 150 e Appunti e documenti sulla topografia storica di Campobasso anni 1573-1861, Casamari, 1977, p. 116, VALENTE, Isernia cit., p. 270, MATTBI, op. cit, III, p. 7, P. ALBINO, Biografìa e ritratti degli uomini illustri della provincia dì Molise, Campobasso, 1864-1866, voi. II, ad nomina De Luca e Giampaolo.