Rassegna storica del Risorgimento
GUERRA MONDIALE 1914-1918; INTERVENTISMO; STORIOGRAFIA ITALIA
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1985
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La storiografia sull'Intervento del 1915
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Rosario Romeo, ancora, pur ridimensionando l'entità della frattura determinatasi nel tessuto politico italiano in seguito alla contrapposizione nel 1914-1915 tra neutralismo e interventismo,80 ha parlato di apprezzamento incompleto e sostanzialmente distorto dei moventi che avevano indotto il governo e una parte del paese a decidersi per l'intervento.82) Per lo storico siciliano, c'era una certa incongruenza nelle ragioni dell'interventismo, che, teso com'era a fare assumere all'Italia quel ruolo di grande potenza, come nella tradizione e nelle aspettative del Risorgimento, non riusciva a rendersi conto della debolezza economica e militare del nostro paese, anche se trovavano conforto nell'illusione che l'intervento italiano nella guerra mondiale sarebbe stato in qualche modo decisivo non soltanto per la sconfìtta degli Imperi centrali, ma anche per una rapida soluzione della guerra stessa.83) In questo senso, ha sostenuto Romeo, la politica neutralista, e di Giolitti in particolare, aveva almeno il merito di una coraggiosa e realistica presa di coscienza delle vere condizioni dell'Italia, e di sottrarla per questa via a prove troppo gravi per la sua compagine . M>
Valerio Castronovo, infine, soffermandosi sui presupposti economici dell'intervento, senza per questo tralasciare il quadro politico,85) ha sostenuto che la scelta iniziale di neutralità del governo Salandra rivelò, con il prolungamento della guerra, il pericolo di un isolamento del sistema economico italiano dal movimento internazionale dei capitali e delle materie
*i> R. ROMEO, Dal Piemonte sabaudo all'Italia liberale, Torino, 1964 (2" ed.), pp. 276-277: Si è mollo discusso, allora e poi, del modo in cui venne attuato l'intervento; e nella frattura che esso determinò nelle file del ceto dirigente (che portò negli anni di guerra alla pratica esclusione dalla vita politica dell'uomo che l'aveva dominata per quindici anni), e nella violenza che le manifestazioni di piazza esercitarono sul Parlamento, in maggioranza ancora giolittiano e neutralista, si è visto il primo segno di ciò che poi sarebbe accaduto nel dopoguerra. Certo, taluni fatti nuovi apparvero allora nella vita italiana, e soprattutto uno scatenamento di passioni aggressive e irrazionalistiche, e certo culto della violenza per la violenza, che denunciavano un clima morale e un sentimento della vita assai diverso da quello in cui si era sviluppato Io Stato liberale. Ma di quelle rotture e novità non bisogna neppure esagerare la portata: che, in concreto, esse vennero tutte riassorbite e superate nella comune accettazione del dovere nazionale della guerra, anche da parte di coloro che erano stati ad essa contrari, con una concordia di voleri e una risolutezza di propositi che costituivano la prova migliore della saldezza che le radici dell'educazione liberale e nazionale avevano ormai nel suolo della borghesia italiana .
9 R. ROMEO, L'Italia unita e la prima guerra mondiale, cit., p. 150.
3) Ivi, pp. 151-152.
) Ivi, P- 148.
85) v. CASTRONOVO, Storia d'Italia, voi. 4, tomo 1, Dall'Unità a oggi. La storia economica, Torino, 1975, p. 200 ( nel vuoto di potere apertosi all'indomani dell'impresa libica intorno al "problema della maggioranza" e di fronte all'indecisione sia dei socialisti riformisti, che speravano ancora in una pacifica evoluzione politica, sia dei sindacalisti rivoluzionari che, malgrado l'aggressività verbale e i metodi agitatori di piazza, non intendevano correre troppi rischi (e che finivano in ogni caso per paralizzarsi reciprocamente puntando essenzialmente al dominio interno del partito), aveva avuto buon gioco l'offensiva conservatrice ).