Rassegna storica del Risorgimento

STORIOGRAFIA ITALIA
anno <1985>   pagina <494>
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Libri e periodici
limitate certo all'Inghilterra dell'esilio e degli anni di Canning, questo primo volume egre­giamente introdotto e curato dal Toscano, dopo una premessa del Giannantonio, che è un po' il pioniere dotto e benemerito di questa ripresa di studi rossettiani, culminata nel convegno per il bicentenario della nascita e nel piano per l'edizione del carteggio, raccoglie 124 lettere provenienti in gran parte dall'archivio del Museo centrale del Risorgimento in Roma, e quindi tutt'altro che inaccessibili lungo i molti decenni che hanno aggravato d'oblio la memoria del poeta, e secondariamente da Vasto e, per una delle consuete stravaganze nella fortuna degli archivi privati, da Vancouver.
Non diremo che siano gran cosa né che vi si riscontrino novità più o meno sconvolgenti.
11 modesto impiegato del Museo, magari maltrattato da Michele Arditi recente­mente rivisitato dal Vallone in chiave illuministica e riformatrice, il mediocre poeta del S. Carlo e, per sua piuttosto grottesca sfortuna, della rivoluzione liberale, che era il Rossetti fino al 1820, e quindi fino alle soglie di un esilio per più versi provvidenziale ai suoi abbastanza squallidi imminenti quarant'anni, non guadagna certo molto dalla cono­scenza delle lettere, così come queste illustrano un ambiente inglese più che prevedibile e scontato, non soltanto lungo la traccia foscoliana, per quanto attiene alle mille miserie ed agli espedienti infiniti dell'emigrazione (il soggiorno in una Malta ancora assai distante dall'atmosfera democratica dei decenni successivi non è neppure esso significativo).
Poste queste premesse, che ovviamente ribadiscono la dottrina, lo zelo e, più d'una volta, la pazienza del curatore, diciamo che a quest'ultimo si debbono anche precisazioni importanti: la ragionata attribuzione, ad esempio, al Rossetti, come da lui rivendicato, dei due volumi sulle statue del catalogo del Museo Borbonico che va sotto il nome di Giambattista Finati, ed eccellenti schizzi biobibliografici, come quelli del Ferretti e del Biondi. Crediamo di dover segnalare la lettera a Dora Moore nell'aprile 1824 come quella dell'esplicito e consapevole distacco che il Nostro imposta tra la sua precedente attività di poeta estemporaneo e le gravi e ponderose esegesi alle quali sta ormai definitivamente attendendo, e quella analoga del luglio successivo sulla melomania degli inglesi, che non scopre certo alcunché, ma fornisce un vivace ritratto dell'idolatrìa per Giuditta Pasta anche ai fini, come nel giugno 1825 il poeta avrebbe confidato a Pietro Giannone, di un'utilizza­zione vagamente politica a prò degli esuli. Quanto alla politica strìdo sensu, essa appare assai esilmente nel settembre 1824 con Domenico Abatemarco e soprattutto dopo la scom­parsa di Ferdinando, con qualche effimera speranza di accomodamento: E presto vedrassi Nel florido seno Del patrio terreno Sicuro tornar verseggiava l'oscuro Matteo Poussielgue in augurio del Rossetti.
Ben più importanti, anzi la sola cosa sostanzialmente importante del volume (non parliamo del proposito del giovanissimo Livio Zambeccari nel dicembre 1824 di produrre in Londra un nuovo giornale puramente italiano ) è lo scambio di opinioni, il mese successivo, tra il Rossetti e Henry Francis Cary, l'amico di Coleridge e traduttore di Dante, a proposito del Commento ormai imminente, una istruttiva freddezza da parte del serio e solido erudito inglese, un'appassionata apologia rossettìana delle sue ardite interpre­tazioni allegoriche, la città di Dite come Firenze, i peccati dell'avarizia identificati col guclfismo, e così via, un momento culturale notevole, insomma, del romanticismo, che si stacca molto rispetto ai grigiori degli arcadi tiberini e dei costituzionali ormai disoccupati.
RAFFAELE COLAPIETRA
GIUSEPPE MARTINOLA, // gran partito della libertà, la rivoluzione ticinese del 1814; Locamo, Armando Dado editore, 1984, in 8, pp. 181, S.p.
Questo bel libro, stampato in nitidi caratteri, opera del Martinola, noto storico della Svizzera italiana ed amico del nostro Istituto, è un po' la celebrazione dell'indipen­denza ticinese dopo gli eventi dell'epoca napoleonica, che avevano portato all'occupazione del Cantone da parte delle truppe del Regno italico.
Nell'età cisalpina a dire 11 vero non erano mancati Ticinesi favorevoli al ritorno del territorio all'antica madre Lombardia (vedere R. CADDEO, Gli unitari lombardi e ticinesi,