Rassegna storica del Risorgimento

STORIOGRAFIA ITALIA
anno <1985>   pagina <496>
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Libri e periodici
per tre ore. Osterìa in mezzo alla campagna. Aria pessima. Vino pessimo. Fu fatta una piccola colazione.
Monte Rosi. Di passaggio. Passato Monte Rosi vi è un piccolo lago.
Ronciglione. Fu fatta la nottata. Giungemmo alle ore 23 e fu pernottato nell'osteria e posta di cavalli. Fummo trattati bene nel vitto e nel dormire. Un bel paesetto con un bell'ingresso ma per metà in salita. Molte case bruciate in tempo di repubblica. Una sola fontana di acqua buona, altra acqua cattiva... .
Interessante è la notazione giornaliera del viaggio da Roma a Bologna (vi impiegarono circa sette giorni), a Parma e Piacenza e poi di nuovo a Parma. Da qui attraverso gli Appennini fino a La Spezia. 11 viaggio in mare per arrivare in Corsica raccoglie anch'esso notizie preziose.
Negli anni di permanenza a Bastia e in Calvi, Loberti può soffermarsi nella descri­zione della situazione religiosa e politica della zona, con riti, modi di vita lontani da noi che appartengono alla cultura della Corsica.
SILVANO PINATO
GIOVANNA FIUME, Le bande armate in Sicilia (1819-1849). Violenza e organizzazione del potere (Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Palermo. Studi e ricerche, 6); Palermo, 1984, in 8, pp. 201. S.p.
La tesi fondamentale di questo accurato studio è che nel periodo preso in esame, che costituisce una fase di mutamento nella dissoluzione della feudalità avviato con la legge di eversione del 1812, il fenomeno delle bande armate, che costituisce uno degli aspetti più tradizionali della storia siciliana ed uno dei temi più consueti della sua storiografia, più che rappresentare una spia della disgregazione della comunità contadina, un elemento, cioè, di instabilità sociale per la capacità di esprimere il disagio delle popo­lazioni rurali, rappresenti un elemento di ristagno riutilizzato dalla nuova oligarchia aristo­cratico-borghese. Essa sostiene sempre l'A. si oppone, manu militari, al processo avviato dalla monarchia borbonica di centralizzare, insieme con gli istituti dell'esercizio della violenza, il potere politico. Le bande, dunque, come sostegno ai partiti , a gruppi di interesse insediati nei centri di potere locale, finalizzate alla accumulazione di risorse indipendentemente dalla situazione economica.
La nostra impressione è che l'A. sta riuscita a dimostrare concretamente la sua tesi soltanto per cosi dire a metà: nel senso che dalla cospicua documentazione raccolta e dall'indagine esperita sembra che il fenomeno delle bande armate nel periodo considerato derivi si dall'utilizzo della violenza da parte dell'oligarchia aristocratico-borghese, ma non vi manchi affatto, accanto ad esso, anche l'altro elemento, quello cioè di un'espressione, in quelle condizioni socio-economiche, del disagio delle popolazioni rurali.
È vero pertanto che a proteggere e alimentare il banditismo non sono soltanto i vecchi ceti feudali, ma anche i nuovi proprietari borghesi; che l'attività principale delle bande è, insieme con l'estorsione di denaro, l'abigeato; e che i banditi scelgono spesso la via più breve per inserirsi nelle attività connesse alle forme del capitalismo commerciale per investirne i profitti nell'acquisto di terre. Ma poi, quando si segue passo passo la ricostruzione operata dall'A., mi pare che non si possa neppure escludere quanto nel fenomeno del banditismo conti anche l'elemento della miseria, la risposta di strati sociali poveri o impoveriti alle crisi economiche.
Certo, se si guarda alle grandi comitive armate, colpisce la copertura di cui godono da parte del pubblico potere e l'intreccio, inestricabile e oscuro, di interessi che annoda strettamente ì funzionari delia pubblica amministrazione e i banditi. Da questo punto di vista credo che abbia ragione l'A. a mettere in rilievo come, se il prezzolamene delle bande si pone in linea con la tradizione che vedeva il signore feudale circondarsi di una personale milizia, con l'abolizione della feudalità anche la violenza, insieme con la ric­chezza, sembra dividersi e cambiare di mano, passando al servizio di un ceto diverso dall'aristocrazia. Ma poiché l'abolizione della feudalità è, nella Sicilia dei primi decenni del XIX secolo, tutt'altro che compiuto, a noi pare che l'elemento tradizionale sia a sua