Rassegna storica del Risorgimento
STORIOGRAFIA ITALIA
anno
<
1985
>
pagina
<
503
>
Libri e periodici
503
LUIGI MUSELLA, Proprietà e politica agraria in Italia 1861-1914; Napoli, Guida, 1984, in 8, pp. 130. L. 13.000.
L'imponenza del tema, la stringatezza della trattazione, la giovinezza dell'A., autorizzavano a non poche perplessità dinanzi ad un lavoro del genere, quasi una sorta di quei brevi compendi intorno all'universo che andavano di moda nella cultura popolare del positivismo volgare fino a non tantissimi anni addietro. A lettura finita, bisogna riconoscere che l'A. se l'è cavata abbastanza bene e con sufficiente disinvoltura, anche se rimane la sensazione che avrebbe fatto meglio a ritagliarsi uno spazio monografico più circoscritto, in cui non s'avvertisse, o s'avvertisse di meno, quella mancanza d'aria soprattutto culturale ed ideologica che spesso dispiace, in una storia, generale nelle sue conseguenze, se non nei suoi presupposti come questa, e che mi sembra simboleggiata con efficacia dall'assoluta assenza, nell'indice dei nomi, d'un Sonnino e d'uno Sturzo, i quali a prima vista, in un argomento del genere, l'avrebbero dovuta fare da protagonisti.
L'A. non è di questa opinione, evidentemente; la condizione dei contadini, il contratto, il credito, la cooperazione, il mutualismo, non rientrano se non marginalmente nella sua impostazione, che è essenzialmente di vertice, di strategia di gruppi di potere, e rischia perciò di farsi sfuggire più d'una volta la mobilitazione degli spiriti e l'assidua propaganda dottrinaria e pubblicistica che preparano e condizionano certe soluzioni politiche. Queste ultime cominciano a configurarsi, classicamente, all'indomani dell'unità, con l'unificazione doganale e col trattato commerciale del 1863 con la Francia, in un'atmosfera plebiscitaria nel suo ruralismo liberista tale da far sottovalutare ali'A. (ed anche qui il difetto è di ordine latamente culturale, di mutamento di civiltà) la portata ed il significato, ad esempio, delle elezioni generali del 1865, che conducono alla Camera in prima persona, e su posizioni di sinistra, perché oppositrici, quei proprietari soprattutto meridionali che, acconciatisi più o meno di buona voglia all'annessione, avevano nel 1861, nell'atmosfera artefatta della liberazione del Mezzogiorno , continuato a delegare la rappresentanza dei propri interessi agli intellettuali superstiti del Quarantotto, in quanto protagonisti insostituibili di quella liberazione , ed ora se la riprendevano per gestirla in quella versione decentralista ed antifiscale in cui la querelle sull'agricoltura aveva senza dubbio gran parte.
L'A. concentra invece la sua attenzione, anche qui classicamente, sulla svolta del 1874, che non è altro se non la risposta statalistica ed industrialista della Destra, alla Spaventa ed alla Luzzatti, alla sconfitta elettorale ed all'insurrezione regionalistica che l'aveva determinata, un'accoppiata sostanzialmente vincente, quella tra lo Stato e l'industria, che si sarebbe protratta, ben al di là ed al disopra delle esperienze parlamentari della Sinistra e del trasformismo, fino al 1887, allorché il protezionismo granario e Crispi avrebbero posto una serie di nuovi problemi.
Introduttivamente ad essi, e rifacendosi ai recenti ottimi studi del Ni eri e del Bruschi, l'A. affronta il delicato tema della perequazione fondiaria, che solo da poco, appunto, dopo le ricerche anche qui pionieristiche del Carocci, ha assunto lo spessore critico che gli compete. E questo anche se gli studiosi, e con essi l'A., tendono forse a sottovalutare la vivacità e la compattezza dell'insurrezione regionalista specialmente siciliana da esso determinata contro Depretis, donde un rafforzamento pentarchico, e soprattutto di Crispi, che fa da preambolo significativo ali'87: opportuna comunque la sottolineatura delle differenziazioni interne alle singole zone.
Ed eccoci al dazio del grano, una primogenitura da tempo sottratta agli agrari meridionali ed attribuita legittimamente ai piemontesi ed al lombardi con in testa il Lucca ed fl Tegas, con la loro opera organizzativa e mediatrice che, fiancheggiata dal Rossi, è ben ripercorsa dalI'A. ed offre la misura, proprio in controluce alla perequazione, delle capacità aggregative ed alternative che al Nord si riusciva organicamente a valorizzare rispetto al tradizionalismo toscano ed a] particolarismi meridionali, il di S. Giuliano, ad esempio, non rappresentando certo una sfumatura politica obiettivamente molto lontana dal di Camporeale, e convergendo quindi in una tematica tutt'altro che rinnovatricc nel suo complesso, anche se la commercializzazione delle colture specializzate della Sicilia orientale si dislocava, sotto un profilo strettamente economico, agli antipodi rispetto alla