Rassegna storica del Risorgimento

STORIOGRAFIA ITALIA
anno <1985>   pagina <509>
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Libri e periodici
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tutte le predicazioni ed i fermenti possibili, Taranto allineandosi a progettazioni in gran parte megalomani in conseguenza della militarizzazione di Stato, che ne aveva radicalmente ribaltato l'intera vocazione storica, e lo stile architettonico permanendo nella regione individualistico ed avventuroso, ed abbandonato all'estro episodico del singolo più che ad un gusto vero e proprio, quando quest'ultimo non fosse quello più stancamente classicheg­giante ovvero, all'opposto, il più demagogicamente aggiornato, sulla linea consueta del risanamento devastatore.
Vale la pena di segnalare ancora, a ribadire la vischiosità estrema di certe realtà e di situazioni determinate, il lavoro della Caforio sulla struttura ricettizia pesantissima del clero salentino, il 45 dei sacerdoti rimasti chiusi nella parrocchia d'origine per l'intero periodo formativo, il patrimonio del 41 degli ordinati costituito esclusivamente dalle rispettive famiglie, a base pressoché esclusivamente terriera, e con la piccolissima borghesia rurale quale protagonista sociale, mentre la Denitto mette in luce, forse con qualche soverchio ottimismo, la trasformazione capitalistica operatasi intorno a Brindisi in connessione con l'apertura del canale di Suez e con l'imprenditorialità vitivinicola spesso promossa dal capitale lombardo-veneto. 11 Palma riprende indirettamente l'argomento a proposito del commercio portuale, sottolineando, sì, le proporzioni assolutamente fanta­stiche del boom vinicolo degli anni settanta, ma anche la costante preponderanza del tradizionalismo oleario nell'esportazione da una Gallipoli pur a lungo priva di un consi­stente hinterland ferroviario e perciò destinata a Une Ottocento ad un tramonto inesorabile, significativamente contemporaneo a quello di Brindisi nella prospettiva di Suez, donde appunto il disagio, il malessere, che condurranno all'ortodossia giolittiana in chiave conser­vatrice e difensiva, e l'emergere irrestibile di Bari, che preferiva l'Adriatico reale alla Suez mitizzata, si appoggiava ad un ceto mercantile effettivo e non ad agrari camuffati, ed aveva alle spalle una cultura civile e cittadina abbastanza distante dalle raffinatezze e dalle facondie dei letterati leccesi.
RAFFAELE COLAPIETRA
ARCHIVIO DI STATO DI LECCE, La questione demaniale in Terra d'Otranto nel XIX secolo. Museo Provinciale Sigismondo Castromediano 15 dicembre 1984-30 gennaio 1985. Catalogo della mostra; Lecce, Galatina Editrice Salentina, 1985, in 8, pp. 193. S.p.
Doverosamente dedicato alla memoria di Michela Doria Pastore, questo catalogo, come, si evince indirettamente dalla presentazione del direttore Giuseppe Di Benedetto, si pone come una sorta di strumento di lavoro esemplare e pilota per tutte le province del Mezzogiorno allo scopo di realizzare una documentazione per quanto possibile rigorosa su un problema che il Fortunato identificò sostanzialmente ed espressamente con la vera questione sociale dell'Italia meridionale e che, a parte l'evidente forzatura nei confronti, ad esempio, del sistema creditizio o, meglio ancora, di quello dei contratti agrari, è indubbiamente al centro strutturale e storico di quella che in questo senso non può e non deve che continuarsi correttamente a chiamare questione meridionale.
Gianfranco Liberati introduce il catalogo con l'opportuna sensibilità storica e politica che in lui costantemente non tanto tempera quanto piuttosto integra e dinamizza la dottrina del giurista, e l'Introduce attraverso un classico, i Pensieri economici di Palmieri del 1789, in cui il produttivismo individualistico dello scrittore, che ha fatto con esattezza parlare per lui dal Lepre, anche se con eccesso di pathos polemico classista, come di un pioniere e precursore del capitalismo agrario, si concretizza e si sublima, per così dire, proprio a proposito della barbarle dei demani, la cui frammentazione censuaria, promossa dallo Stato attraverso le casse di credito, avrebbe avviato alla libera proprietà, ed incre­mentato cosi la ricchezza nazionale al fini della felicità pubblica .
Palmieri vuol dire, non solo anagraficamente, ma per costume, cultura, ambiente, e vorrei dire soprattutto, con terminologia settecentesca, filosofia civile, Terra d'Otranto, ed a questo punto un richiamo in chiaroscuro a Filippo Briganti, pur correttamente accen­nato da Liberati, avrebbe meritato forse qualche maggiore ampliamento e sviluppo, alla luce soprattutto della recentissima rivisitazione, appunto ambientale e civile, compiutane dal Vallone, e con sullo sfondo quei sovrani filosofi e più o meno stilizzatamente mitizzati