Rassegna storica del Risorgimento
STORIOGRAFIA ITALIA
anno
<
1985
>
pagina
<
510
>
510
Libri e periodici
la cui fortuna in termini di leggenda nel Mezzogiorno è anch'essa segnalata da Liberatili e meriterebbe anch'essa un'indagine particolare.
E Palmieri è anche, effettualmente parlando, l'uomo dell'editto del 23 febbraio 1792 sulla censuazione dei demani, il punto estremo, cioè, nel senso di culmine, ma anche di esaurimento rapidissimo e definitivo, dopo il drammatico tournant della morte di Filangieri, nel luglio 1788, del riformismo borbonico fino alla soglia della monarchia paterna ed efficientistica, se non ancora costituzionale, auspicata da Galanti, la prova più impegnativa ai limiti della legge agraria che subito dopo si sarebbe rimproverata a Delfico, il cui clamoroso fallimento è all'origine d'una parabola costantemente discendente, destinata a non raddrizzarsi lungo tutto l'Ottocento. All'interno della parabola, il degrado strutturale dei boschi in quanto struttura portante dell'uso collettivo, sui quali Liberati richiama finemente l'attenzione, e che a fine Settecento costituivano non a caso la sezione più delicata e studiata del problema demaniale, in un quadro complessivo di riassetto del territorio e delle comunicazioni che, dopo gli anni trenta ed Afan de Rivera, non si sarebbe più ricompattato con efficacia.
Il problema, è noto, torna d'attualità all'immediato indomani, ed è significativo, dell'eversione della feudalità, quasi a sottolineare un nesso strettissimo, un incontro-scontro che occorre sciogliere una volta per sempre.
Ed è a questo punto che il discorso andrebbe concentrato sui ministri straordinari ai quali altrettanto sintomaticamente, da Galanti a Fortunato, è affidato il governo della questione, con divaricazione neppure tanto implicita rispetto alla vischiosità della magistratura ordinaria, quei commissari ripartitori che sono stati gli autentici protagonisti in provincia della monarchia amministrativa murattiana; basti pensare a De Thomasis in Abruzzo ed a Biase Zurlo in Capitanata, i quali in Terra d'Otranto hanno un collega di primo ordine in Domenico Acclavio, non soltanto futuro intendente, ma già procuratore generale ad Altamura, e quindi un uomo di legge che si discosta forse più prudentemente e tradizionalisticamente dalle vedute innovatrici, ed a volte autenticamente eversive , dei suoi più intraprendenti colleghi.
Ma i decenni trascorrono inutilmente, e Spaventa nel 1861 e Cairoli nel 1879 si trovano a contrastare con difficoltà e resistenze non gran che diverse da quelle di fine Settecento: mancanza di capitale, impossibilità di realizzare la quotizzazione perpetua, necessità di espedienti, come, nell'istruttivo suggerimento di Salandra, l'associazione temporanea, ma forzosa dei quotisti per un ventennio in forma consorziale e col supporto delle case comunali per le anticipazioni, espedienti, appunto, che avrebbero trascinato faticosamente, e soprattutto senza un vero risultato economico né tanto meno sociale, la questione demaniale fino al nuovo secolo.
Quanto all'Ottocento, non c'è che da percorrere il catalogo per individuarne le cospicue caratteristiche e le ombre persistenti in Terra d'Otranto, a cominciare dall'asprezza con cui si era dovuta costringere una feudalità notoriamente integralistica e totalitaria come quella salentina a rinunziare preliminarmente all'esazione delle decime, i Navarrete a Laterza, i Dentice a Carovigno, i Caracciolo a Martina ed a Mottola, e così via, e cioè il grande baronaggio ormai decaduto, essendo ancora senza paragone possibile il protagonista schiacciante della situazione, a non parlare di quegli armigeri baronali che, confluiti a norma di legge nella guardia civica, continuavano a rappresentare un elemento di terrorismo agrario tutt'altro che trascurabile (ed a questo proposito rinnovo il mio auspicio per un sistematico studio sociologico degli urbani e dei gendarmi, come una delle infrastrutture più caratterizzanti del sistema borbonico).
Proprio a Laterza, del resto, la lunga controversia demaniale con i Melodia di Altamura è rappresentativa di un'usurpazione notabilare di tipo schiettamente neofeudale le cui conseguenze sociali e politiche si sarebbero fatte avvertire notoriamente fino al fascismo, cosi come i conflitti per i boschi di Calimera sono nella preistoria di uno dei più famosi ed emblematici eccidi proletari della cronaca del Mezzogiorno.
Alla fine del secolo rimaneva ancora indivisa più della metà dei terreni quotizzagli, 1.330 ettari a Martina, 1.800 a Pai agi ano, e cosi via, un'inadempienza massiccia, sistematica, costellata da sottrazioni e distruzioni di documenti, non ciò che si poteva far passare, insomma, per il populismo più o meno demagogico dell'assalto al municipio, ma il