Rassegna storica del Risorgimento
CRISPI FRANCESCO; MOVIMENTO CATTOLICO ITALIA 1887-1895
anno
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1986
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pagina
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16
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Filippo Mazzonis
Per l'immediato, e in attesa che si realizzassero le condizioni indispensabili all'attuazione della prospettiva indicata, non restava altro che la difesa delle prerogative giurisdizionali dello Stato e degli inalienabili diritti nazionali. Tale azione di difesa, si badi bene, andava condotta secondo Crispi in un'ottica e sulla base di criteri che erano ancora quelli propri del Crispi rivoluzionario, del Crispi, per intenderci, versione pre-I860, il quale, anche dopo l'Unità, rimase contrario a ogni possibile forma di conciliazione , intesa come la forma più ipocrita (e meno dotata di realismo politico) della transazione diplomatica con chi non aveva cessato di essere nemico:
La questione del Papato, signori dichiarava all'indomani della Convenzione di Settembre , non si può risolvere che in due modi: o colla rivoluzione o colla conciliazione. La rivoluzione è la sola che può imporre l'Italia a Roma. [...] Colla conciliazione entriamo in un ordine d'idee tutto differente. Noi siamo obbligati a transigere: ed il Papa, il quale non ha voluto consentire a riconoscere il nostro diritto in quella parte di territorio che gli fu tolta nel 1860, volete che possa riconoscere che gli sia tolta la città in cui ha sede, che gli sia tolto il centro d'onde partono gli ordini suoi e le scomuniche? .15)
Sotteso a queste parole, e al di là dell'uso strumentale che Crispi intese certamente fare della questione romana per tutto il periodo della Destra e soprattutto fino al 1870,16> sta, a mio avviso, il nocciolo vero dell'intero
piena libertà dei culti (alla quale egli aderiva senza riserve sul piano dei princìpi) a causa degli attuali rapporti di forza esistenti nel paese, largamente condizionati dalla arretratezza culturale delle classi popolari soprattutto nelle campagne, rappresentò una sorta di chiodo fisso per Crispi che ritornava come un leit-motiv nei suoi interventi ogniqualvolta si discutesse di materia ecclesiastica o religiosa. L'occasione in cui espresse in maniera più compiuta, e forse anche più elevata, queste sue convinzioni fu durante il lungo dibattito sulla legge delle Guarentigie nei mesi di febbraio-marzo del 1871 (cfr. F. CRISPI, DP, voi. II, pp. 83 sgg.).
15) Dal discorso pronunciato nella tornata del 17 novembre 1864 in occasione del dibattito sul trasferimento della capitale, in F. CRISPI, DP, voi. I, p. 518. Sull'importanza di questi aspetti di continuità rivoluzionaria nella politica crispina, si da costituirne un essenziale elemento interpretativo, aveva già ripetutamente richiamato l'attenzione Federico Chabod, soffermandosi in particolare in un sottile raffronto con Visconti Venosta. Cfr. F. CHABOD, Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896, Bari, 1962, pp. 538 sgg. e passim.
tó) Mei suo recentissimo e ben documentato volume dedicato alla prima attività parlamentare di Crispi (Francesco Crispi. 1861-1867. Il problema del consenso allo Stato liberale, Roma, 1984), VINCENZO G. PACIFICI pone molto giustamente la questione romana tra i temi fondamentali sui quali si imperniò la pars critica del di lui programma politico. Infatti, una volta accettata la natura del regime e dichiarata la propria disponibilità a parteciparvi a pieno titolo, proporre e sostenere la rivoluzione significava per Crispi, a petto di una Destra avida di potere , riproporre in nuovi termini e con nuove prospettive quell'alleanza tra forze moderate e progressiste che, sia pure in maniera contrastata, si era concretamente realizzata nel biennio '59-'60 ( Oramai è chiaro che in Italia ci sono due partiti ciascuno col suo programma, e non ambedue con lo stesso programma e che cerchino attuarlo con metodo diverso. No, signori. C'è il partito della rivoluzione e quello