Rassegna storica del Risorgimento

CRISPI FRANCESCO; MOVIMENTO CATTOLICO ITALIA 1887-1895
anno <1986>   pagina <17>
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Crispi e i cattolici 17
problema: per il focoso siciliano il Papa e i cattolici erano e restavano quelli che avevano cercato con ogni mezzo, anche con le armi, di impedire il conseguimento dell'obiettivo -finale del Risorgimento, esplicitato nel bino­mio Patriae Unitas, Civìum libertas. Pertanto il Papa, in quanto possibile depositario di diritti particolari, era visto e considerato alla stessa stregua dei principi italiani spodestati, e i suoi seguaci cattolici, di conseguenza, altro non erano che dei legittimisti.
Noi dichiarava Crispi alla Camera nel febbraio del 1871, intervenendo sulle "prerogative pontificie" in Roma abbiamo un pretendente, o signori, non dobbiamo nascondercelo; il Papa è il Re di ieri. Ora io domanderei all'onorevole Rattazzi, e gli farei questa ipotesi: supponga per poco che l'onorevole ministro dell'interno [...] venga a presentare un progetto di amnistìa per tutti i principi decaduti, e che egli [...] li ammetta a risiedere nel Regno. Dareste voi a Francesco di Borbone, a Ferdinando IV di Toscana, al duca di Parma, al duca di Modena l'inviolabilità che volete concedere al Pontefice? No, perché appunto essi sono pretendenti ai troni dai quali la rivoluzione li ha cacciati. Ed il Papa ha egli cessato di esserlo? Quando voi limitate l'immimità del Pontefice all'esercizio delle funzioni ecclesiastiche... gli fate un 'avvertenza di non immischiarsi nelle cose politiche del Regno. [...] Al contrario, se voi l'estendete, voi create un assurdo, ed il giorno in cui il Papa sarà alla testa della guerra civile, voi dovrete arrestarlo e forse fucilarlo . 17>
A questo ordine di concetti, detti e ripetuti più o meno esplicitamente, si riduce in definitiva il significato ideologico di fondo degli interventi di Francesco Crispi ogni qualvolta fossero in discussione le prerogative della S. Sede o questioni riguardanti i rapporti con la Chiesa e con il mondo cattolico. In altre parole, è qui che, a mio avviso, va individuata la chiave di lettura, e quindi di interpretazione, di tutto il suo comportamento politico in materia, sia che alla Camera parlasse dai banchi dell'opposizione o dal seggio di Presidente dell'assemblea, sia che in periodo elettorale assumesse i toni del capo di partito o di corrente, e sia quando fu investito di respon­sabilità di governo e, perfino, quando, finalmente, come ora meglio diremo, divenne Presidente del Consiglio.
della conciliazione. L'uno vuole andare a Roma ad ogni costo, l'altro intende rinunciarvi , affermava con foga polemica il 17 novembre 1864, il giorno prima, cioè, della famosa dichiarazione sulla monarchia che ci unisce e la repubblica che ci dividerebbe', in F. CRISPI, fì p. 522).
D'altro canto è pur vero, come ha osservato lo Jemolo {Chiesa e Stato cit., p. 117), che non mancarono occasioni in cui Crispi avrebbe preferito accantonare la questione romana perché distoglieva l'attenzione da quella che egli considerava la pars consiruens del proprio programma (ossia l'ammodernamento delle istituzioni e delle strutture del nuovo Regno: significative affermazioni egli fece in tal senso nello stesso discorso testé citato, cfr. p. 533; così come mi pare significativo che nessuno spazio sia stato dato alla questione romana nel Programma del giornale La Riforma, pubblicato a Firenze il 4 giugno 1867 assieme a De Boni, Cairoli, Carcassi e Bertoni), ovvero perché, con la sua dirompente carica di discriminazione, veniva a interferire bruscamente nel graduale processo di rinno­vamento-aggiustamento degli equilibri politici (come fu il caso di Mentana).
17) Tornata del 3 febbraio 1871, in F. CRISPI, DP, voi. II, p. 90.