Rassegna storica del Risorgimento
CRISPI FRANCESCO; MOVIMENTO CATTOLICO ITALIA 1887-1895
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1986
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Crispi e i cattolici
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finire così e con generale soddisfazione, se Crispi, ministro dell'Interno in carica e (ricordiamolo) in pectore Presidente del Consiglio, alzatosi a parlare nella Camera fattasi silenziosa per l'attenzione, non avesse voluto aggiungere, benché per sua stessa ammissione non ve ne fosse bisogno alcuno,3" una breve dichiarazione a nome del Governo, il cui significato politico era contenuto in due lapidarie frasi che costituivano la parte centrale:
Noi non domandiamo conciliazioni, né ce ne occorrono, perché lo Stato non è in guerra con nessuno. Né sappiamo né vogliamo sapere quello che si pensa in Vaticano.32)
Questa volta non c'è certamente bisogno di particolari strumenti esegetici per intendere che cosa Crispi volesse dire con queste parole, fatte segno dalla ripetuta approvazione dei Deputati: negare l'esistenza del funesto dissidio e negare l'opportunità di trattative, proprio in quel momento e proprio da parte di chi vi era direttamente coinvolto, significava inequivocabilmente la rottura delle trattative medesime. Tanto più che tutto (dal luogo al momento, dal tono al modo in cui le parole furono pronunciate), tutto, dico, stava a indicare che si trattava di una vera e propria dichiarazione programmatica che esprimeva la linea politica del governo attuale (e futuro) in materia. *
un aderente della massoneria) sia stata in qualche modo concertata. L'interpellante aveva abilmente insinuato il dubbio che a tutto l'impegno in atto per la conciliazione, si accompagnasse da parte del governo l'intenzione di varare una legge di conciliazione che abrogasse quella delle guarentigie e il cui inevitabile risultato sarebbe [...] un patto di mutua mediocrità tra lo Stato e la Chiesa, un papa mezzo principe, uno Stato mezzo cattolico . Una smaccata provocazione che, se solo si fosse voluto, era facile respingere. Zanardelli ebbe infatti buon gioco nello assicurare l'onorevole Bovio che nulla havvi che possa rendere opportuna una simile domanda , per concludere che, quando su questo stesso tema dei rapporti fra Chiesa e Stato mi si presentano questioni discutibili, sono amico di ogni soluzione serena, equanime, liberale, conciliativa, se così volete chiamarla; ma nel medesimo tempo non posso certo consentire che lo Stato abdichi i propri intangibili diritti, i proprii immutabili doveri, abdichi la sua indefettibile missione di luce, di progresso, di civiltà. Una risposta abile dunque, che affrontava la questione posta sul piano generale dei grandi princìpi (e in termini tali che nessuno, nemmeno il cattolico più intransigente, avrebbe avuto granché da ridire) e, cosa ben più importante, senza compromettere assolutamente, né in un senso né nell'altro, l'iniziativa in cui il governo stesso era coinvolto (ricordiamoci che era in corso la trattativa Crispi-Tosti). Per il testo completo dei due interventi cfr. Atti Parlamentari della Camera dei Deputati, XVI legislatura, I sessione, tornata del 10 giugno 1887, pp. 3414-3417.
31) Dopo le dichiarazioni fatte dal mio collega ed amico il ministro Guardasigilli, non avrei nulla da aggiungere. Quello che egli pensa lo pensano tutti coloro i quali siedono su questi banchi, dichiarò Crispi nel prendere la parola. In F. CRISPI, DP, voi. II, p. 841.
32) Ibidem.
33) inoltre la dichiarazione di Crispi fu, a mio aviso, ulteriormente aggravata (anziché attenuata come sembra ritenere JEMOLO, Chiesa e Stato cit., p. 300) dalle parole immediatamente successive: Leone XIII non è un uomo comune. I tempi maturano; essi che mitigano, che estinguono le più fiere avversioni, potrebbero anche avvicinare Chiesa e Stato. Di parte nostra, però, nulla sarà toccato al diritto nazionale sancito dai plebisciti. L'Italia appartiene a se stessa, a sé sola, e non ha che un unico capo: il Re . In altre parole, tutto ciò che Crispi offriva era una vera e propria resa senza condizioni, che nessuna controparte avrebbe potuto accettare, e tanto meno Leone XIII la cui maggiore preoccu-