Rassegna storica del Risorgimento

CRISPI FRANCESCO CARTE; MANCINI PASQUALE STANSLAO CARTE; MUSEO
anno <1986>   pagina <63>
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Libri e periodici 63
mente padre Berti ),3) e Sella, di rimando, gli narra le proprie prodezze antiecclesiastiche e gli parla di quel convento delle Clarisse, a suo tempo rispettato anche da Napoleone 1 (p. 182), da lui coniiscato dall'oggi al domani per dare un tetto ai prigionieri di guerra. Cosi facendo Sella sa di procurarsi l'ostilità della Destra, ma non si può agire altrimenti se davvero si vuol dare un senso alla rivoluzione italiana: come si fa, si chiede in una lettera dell'I 1 luglio 1867, a parlare ad latus di fiorgatti [e dij Berti sulla que­stione dell'asse ecclesiastico? In questi termini la sua convergenza con la Sinistra è auto­matica e preannunzia le intese operative che presto saranno raggiunte in vista della soluzione del problema romano, un problema che dopo il trasferimento della capitale a Firenze è diventato prioritario e che solo per motivi di opportunità, come avviene nella lettera a La Marmora del 21 ottobre 1868, può essere rimosso come cosa per cui non conviene scaldarsi troppo.
Altro aspetto che viene qui in primo piano è il rapporto con la dinastia. C'è in Sella molta freddezza verso la monarchia: l'accetta come simbolo dell'Unità nazionale e si dà da fare per renderla popolare, ma dentro di sé sente che dopo la Convenzione di settembre e gli insuccessi del 1866 essa non è più nel cuore dei torinesi (p. 345). I funzio­nari di casa reale non gli sembrano un modello di efficienza e onestà; e qualche suo generico intervento pubblico sulla dubbia moralità di alcuni governanti, qualche richiamo all'austerità nel momento in cui si pretendono maggiori sacrilici dal popolo, sono indirizzati proprio agli uomini della Corte e a quel partito-militare (così lo chiama in una lettera del 7 aprile 1868) che le gravita intorno. Anche Vittorio Emanuele non sfugge alla sua severità di giudizio, tanto che all'inizio del 1868 si diffondono o sono messe in giro a bella posta alcune voci che vogliono Sella favorevole ad una sua abdicazione: lo strano è che Sella ne parli in una lettera a Perazzi del 22 gennaio, non vi accenni affatto nelle lettere al fratello Giuseppe Venanzio con il quale non ha segreti e aspetti fino al 7 febbraio per decidersi a scrivere al Re in persona dicendosi contrario ad ogni ipotesi di una sua rinunzia al trono, un peccato d'ingratitudine verso chi ha fatto l'Italia..., il più grave degli errori politici che si potesse commettere nelle circostanze attuali (p. 399). Sono molte le ragioni di questo scarso entusiasmo per il sovrano: tra le altre cose c'è anche un curioso incidente per un modesto quantitativo di lana affidato dal Re al fratello di Sella per la lavorazione e reclamato poco elegantemente a qualche anno di distanza (PP. 4-18 sgg.); ma forse non si va lontani dal vero se si ritiene che all'origine di tutto ci sia il fastidio per l'invadenza vecchio stampo di Vittorio Emanuele e per il suo ostinarsi ad interferire nella vita delle istituzioni stravolgendone il corretto funzionamento. D'onde una constatazione di estrema gravità, affiorata alla mente di Sella in un momento di crisi che sarà superato ma che lascerà nel suo animo tracce profonde, la constatazione cioè che i Ministeri li fa la Corte e non la Camera , e che, pertanto, nel paese si pone sempre più la questione non già di questo o quel ministero, ma della dinastia (p. 564). Può essere curioso rilevare come tale convincimento maturi in Sella nello stesso torno di tempo in cui Angelo Camillo De Meis costruisce una concezione della monarchia certo più consona agli ideali della Destra, facendo del sovrano colui che pensa il pensiero pubblico; colui che ha la coscienza più piena e più chiara delle idee popolari , o anche, più esplicitamente, colui che ha in sé più di senso, e più di forza e di potere . 4>
Ancora un'ultima annotazione sembra opportuno fare collegandosi a quanto detto sopra e tenendo d'occhio ciò che avverrà nel 1870. L'uomo di fiducia di Vittorio Emanuele è il generale Cialdini, messo alla prova, prima nel 1867 poi nel 1869, con due incarichi di governo che non vanno in porto. In entrambi i casi è decisiva la posizione di Sella che, nella seconda occasione soprattutto, sa essere buon manovriero rifiutando il proprio appoggio ed attendendo che la candidatura del generale si consumi per quindi subentrargli.
3) p. 182, nota.
4) ANGELO CAMILLO DE MEIS, // sovrano. Saggio di filosofia politica con riferenza all'Italia, a cura di BENEDETTO CUOCE, Bari, Laterza, 1927, pp. 8 sgg.