Rassegna storica del Risorgimento

GHISALBERTI ALBERTO M.
anno <1986>   pagina <425>
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RICORDI LICEALI
Benché io lo abbia avuto per lunghi anni fratello maggiore di studi, compartecipe di sodalizi scientifici, collega universitario, Ghisalberti era rimasto sempre per me l'antico mio professore di liceo. La sua immagine giovanile si sovrapponeva e ancora si sovrappone nel ricordo a quella dello studioso maturo, con una sorta di fascino acuto e sottile, quasi leggen­dario, che ha dato ad ogni mio rapporto con lui (fino ai più recenti) il gusto del richiamo al passato e tante istintive sfumature di rispetto, di ammirazione, di devozione.
Perché quella cattedra del Nazareno era stata una esperienza straor­dinaria: decisiva per me come certamente per tanti altri; esemplare, non esito a dirlo, per la scuola. Era una piccola cattedra, nello squallore grigio-cilestrino dell'aula aperta sul cortile, quella dalla quale un giovanotto di pochi anni più anziano dei suoi alunni, appena reduce dallo sconvolgente e temprante tirocinio della guerra, avido e non mai sazio di lettura, interes­sato ad ogni problema, aperto ad ogni discussione, ci disegnava i grandi itinerari della storia. Classi di Liceo come in ogni tempo indisciplinate (non si creda a ferrei rigori imposti dal clima degli avanzati anni venti) e specialmente quella che ricordo, la mia, percorsa anche dagli atteggiamenti di sufficienza di una piccola intellighentsia adolescenziale (rivivono accanto a me le figure di Bernardini, di Panelli, di Manfredi, di Tesei e di molti altri, ma specialmente dell'indimenticabile amico Gastone Silvano Spinetti) non risparmiavano critiche o addirittura sberleffi ai docenti (uno di questi spe­cialmente ne era bersaglio, timido e dolcissimo, al quale mi legò dopo molti anni una visita alla Mostra Augustea della Romanità). Eppure di fronte a Ghisalberti questa scolaresca taceva incantata, le sue parole scendevano precise, sicure, gradevoli: più che raccontare, rappresentava; più che inse­gnare, convinceva.
Se affermo che io devo a lui l'amore per la storia e, ciò che più conta, il senso della storia, esprimo un pensiero da lungo tempo meditato. Le mie personali fantasticherie fatte di precoci entusiasmi per le antichità di Roma, dell'Egitto (allora soprattutto!) e già perfino deU'Etruria, oltreché di strane immaginazioni linguistiche, mi discostavano alquanto dalla disciplina mentale della scuola, ma ogni sfumatura di riluttanza cedeva alla suggestione del limpido magistero di Ghisalberti. Il quale del resto mi aveva osservato e capito: tanto che alla fine del terzo anno liceale (alla vigilia di quella terri­bile prova che era in quei tempi la maturità o, come si diceva, l' esame di stato ) mi consigliò esplicitamente di iscrivermi a Lettere e di indirizzarmi all'archeologia. Si iniziava così la mia carriera di archeologo e di etru­scologo, sotto le quali etichette è genericamente conosciuto il mio lavoro.