Rassegna storica del Risorgimento
GHISALBERTI ALBERTO M.; ISTITUTO PER LA STORIA DEL RISORGIMENTO
anno
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1986
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432
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Emilia Morelli
politiche di quegli anni. È vero, come è stato scritto, che il Quadrumviro leggeva tutti gli articoli e li postillava, ma è vero anche che alcuni contributi da lui approvati Ghisalberti li faceva attendere e, alla fine, li restituiva all'autore, soprattutto quando avevano un acceso tono polemico personalistico. Questo, naturalmente, quando il peso scientifico del segretario generale saliva e quello politico del presidente calava, fino a scomparire. Non dimentichiamo che dal 1936 Ghisalberti aveva cominciato ad insegnare come ordinario a Palermo e De Vecchi, da sempre scomodo al regime, era relegato a Rodi.
Questo per la Rassegna, struttura portante dell'Istituto, accanto ai Congressi. In fondo, il nostro era l'unico Istituto che li organizzava non solo, ma poteva essere sicuro, allora come oggi, di una notevole affluenza di pubblico costituito da soci che non hanno abbandonato mai l'Istituto, rimasto sostanzialmente legato, come struttura, attraverso i Comitati provinciali, alla vecchia Società.
Nella preparazione dei Congressi si doveva esercitare una non facile arte diplomatica. Il Comitato organizzatore sosteneva le spese; gli studiosi locali non sempre erano dei Mommsen... Pubblicare negli Atti certe comunicazioni era un incubo per chi combatteva una lotta diuturna contro coloro e non erano pochi che consideravano la storia del Risorgimento non solo una storia troppo facile, ma retorica e soprattutto politicizzata o nostalgica. Di qui una revisione, a volte spietata, degli elaborati.
Proprio per avviare studi seri, Ghisalberti dava grande importanza allo sviluppo dell'Archivio, parte integrante di quel Museo Centrale del Risorgimento che, nonostante tanta passione, potrà inaugurare solo nel 1970!
Archivio dicevo. Come potrei dimenticare quella mattina del 16 gennaio 1936, quando misi piede per la prima volta al Vittoriano e Marcella Medina, l'economa, accogliendomi, mi disse: II professore è all'Università; mi ha dato l'incarico di consegnarle questi documenti era l'archivio di Francesco Sprovieri perché lei li metta a disposizione degli studiosi dopo averli ordinati e schedati . Così fu che io divenni archivista autodidatta!
Non che Ghisalberti mi avesse accolta all'Istituto a braccia aperte. Mi ero laureata con Lui, è vero, ma ero figlia di mio padre al quale non mancò di far capire che dovevo lavorare sul serio se volevo collaborare con Lui. Credo di non averlo deluso come puntualità e attaccamento all'orario d'ufficio: 9-12,30; 15,30-19. Mio padre aveva posto come condizione che io non avessi retribuzione, ma dopo due anni Ghisalberti ebbe l'impressione che l'Istituto mi sfruttasse e mi fece dare uno stipendio.
Ho raccontato questo episodio unicamente per sottolineare la Sua rigidezza morale che non escludeva, anzi provocava, un'atmosfera amichevole fra gli impiegati che si sentivano veramente legati tra loro e lavoravano come se l'Istituto fosse una seconda famiglia. Lo dimostrarono in tempi difficili.
Io, però, in quei primi anni, non sono mai entrata nella stanza dei bottoni ed è per questo che non posso dire molto sia sulla conduzione della Rassegna, sia sull'organizzazione dei Congressi. Solo allo scoppio della guerra, dopo che mi aveva voluta sua assistente in Facoltà e mi aveva fatto ottenere la libera docenza, le cose sono cambiate. Non che io non continuassi a fare schede le faccio ancora adesso ma, in assenza Sua, ricascò sulle mie spalle il compito di eseguire ordini che mi giungevano da Orvieto,