Rassegna storica del Risorgimento

GHISALBERTI ALBERTO M.; ISTITUTO PER LA STORIA DEL RISORGIMENTO
anno <1986>   pagina <436>
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Emilia Morelli
centi esigenze; da quasi otto anni ero avvezzo a rincuorare la mia fiducia e le mie speranze alla Sua serena parola vivificatrice. L'Istituto per la storia del Risorgimento, al quale sono legato da un trentennio di associa­zione, per me aveva il Suo viso e la Sua voce ed io sentivo di non commettere alcun anacronismo quando, nella serena calma del Suo studio, parlando con Lei di nobili cose, mi persuadevo d'avere ancora innanzi a me uno di quegli uomini del Risorgimento ai quali è consacrata la mia riconoscenza d'italiano e la mia ansia di studioso . Dopo aver rievocato il 1944 e i primi anni del dopoguerra (l'Istituto è salvo, dopo ostilità e burrasche d'ogni genere) aggiungeva che i tempi non sorridono ancora del tutto lieti; la via è ancora lunga e ardua, gli ostacoli anche se diversi, non mancano. De Sanctis gli aveva scritto che la nomina a Presidente era un atto di giustizia verso di Lei che tanto ha fatto e fa per l'Istituto e che con tanto altruismo nasconde le proprie benemerenze sotto il nome del Commissario.
Qualche volta, guardando ai risultati ottenuti, si tende a dimenticare il percorso pieno di ostacoli che si è dovuto percorrere per raggiungere una meta. Non ho intenzione di rievocare le piccinerie, i pettegolezzi, le gelosie di colleghi e l'incomprensione di autorità disseminati lungo il cam­mino. So che Ghisalberti non lo vorrebbe, perché non si è mai soffermato sulle piccole cose in vista del fine che voleva ottenere: fanno così tutti coloro che sanno costruire per mettere a tacere chi sa solo distruggere. Ma queste ostilità ci furono e lo amareggiarono perché provocavano battute d'arresto. Per fortuna, assai spesso chi parlava senza conoscerlo, per sentito dire, si ricredeva nel contatto diretto con l'ultimo uomo del Risorgimento come lo aveva definito Chabod. E per rispetto a lui ne sono sicura l'Istituto non fu soppresso e la storia del Risorgimento non sparì dall'inse­gnamento universitario. Come si fa a dare un dispiacere a Ghisalberti? Quante volte l'ho sentito dire e non sempre con affetto. Ma i colleghi si sa cosa sono. In quegli anni la grande anima di De Sanctis e la tenacia di Ghisalberti salvarono l'Istituto.
Bando alle malinconie anche se certe ostilità esistono ancora oggi e seguiamo la presidenza Ghisalberti.
Non che in cima al Vittoriano le cose siano cambiate. La stanza del Presidente rimaneva vuota, come, del resto, era sempre stata. De Sanctis non era mai salito lassù; De Vecchi, al di fuori delle sedute del Consiglio, l'aveva utilizzata solo due giorni, quando era stato dimissionato da Ministro della Pubblica Istruzione ed era in attesa di nuovo incarico. E proprio in quella occasione non funzionava il secondo ascensore!
Lavoravamo, il professore ed io (mi aveva nominato segretario generale), nella stessa stanza, condividendo un tavolo. Io lo lasciavo spesso per scrivere sotto la Sua dettatura la corrispondenza, perché questa era Sua abitudine costante, invece di passare le minute a chi conosceva meglio di me la macchi­na da scrivere. E così le lettere partivano senza le regole della dattilografìa, con qualche errore e le spaziature sbagliate, ma era il contenuto che contava. Ho imparato a battere sui tasti perché, all'inizio, nel fare le schede d'archi­vio, avevo imitato i miei predecessori che le scrivevano a mano. Un giorno guardandole, Ghisalberti mi disse: non è meglio la macchina? Fu così che io divenni dattilografa di chi non aveva neppure l'idea di come funzionasse