Rassegna storica del Risorgimento

GHISALBERTI ALBERTO M.; ISTITUTO PER LA STORIA DEL RISORGIMENTO
anno <1986>   pagina <443>
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Ricostruzione dell'Istituto e congressi 443
seguendo con attenzione il contegno di Ghisalberti prima alla collaborazione e poi alla direzione della Rassegna storica del Risorgimento. Dimostrò la sua lealtà quando bisognò rimediare all'errore nazionalistico dell'allora direttore della rivista, il Casanova, che aveva accreditato il falso della lettera di Lincoln a Macedonio Melloni , nella quale il presidente americano ricono­sceva il buon diritto dell'Italia all'intera Dalmazia. La garbata autocritica della rivista, dal titolo memorabile Sassi in piccionaia segnò l'avvento di Ghisalberti alla gestione di essa, sia pure sotto l'ombrello del patron De Vecchi.
Mano a mano che si avvicinava, con la sconfitta della Francia e le persecuzioni antisemitiche, la crisi del regime, aumentavano da parte mia le ragioni di sentirmi vicino a Ghisalberti; si facevano più chiare le naturali affinità che ci potevano unire. Certo si dovette a Ghisalberti l'apertura delle pagine della rivista a Paolo Alatri (allora azionista ) che prese lo pseudo­nimo di Paolo Romano: il patron mugugnava, ma più che per avversione ai cenni di liberalismo di Alatri, per la riluttanza del quadrumviro a lasciar cadere la derivazione romano-sabauda del Risorgimento, cui questi fervi­damente teneva. E poi, quando già ero a Roma occupata dai tedeschi, l'opera sua che potevo direttamente osservare per salvare il museo del Risorgimento, comprese le armi di collezione.
In quel momento, pur essendo lontanissima da me la pretesa, e anche il pensiero, di una qualifica universitaria (fu poi l'amico Vittorio Gabrieli a avviarmi un po' alla volta per questa strada scivolosa) l'intenzione di Ghisalberti, naturaliter maestro era quella, che fu costante nel suo inse­gnamento, di trovare nuove forze per allargare la visione del suo Risor­gimento, da parte di uomini di diverso ceppo ed esperienza ed era, quindi, nei miei confronti, tanto più lusinghiera. Per questo mi chiese di preparare, proprio in vista del dibattito che stava per aprirsi, la storia dei motivi e dei precedenti della Costituente italiana. Quando schivai l'incarico (che fu assolto, assai meglio di quanto avrei saputo farlo io, salvo errore, da Giorgio Falco) dovetti perciò dargli un po' di delusione. Quel fedelissimo dell'istituto monarchico mi chiedeva dopo tutto di parlare dell'Assemblea che, per la prima volta nella nostra storia, avrebbe condizionato e limitato la monarchia. Ma c'era in lui, come c'era in Emilia Morelli, studiosa di Mazzini in Inghil­terra, e non per questo mazziniana, la coscienza di ciò che distingue il pen­siero storico dalla contingente ideologia.
Scrissi invece (o piuttosto completai, che il lavoro era stato quasi tutto redatto prima del mio ritorno dall'emigrazione) la Vita di Carlo Rosselli E nel 1946 stesso scrissi (non senza aver gli occhi al mondo presente) la Storia della Francia moderna] e anche qui lavorai fuori del tema che mi era stato proposto da Carlo Muscetta allora responsabile a Roma per le edizioni Einaudi, che disegnava di costruire un confronto e quasi una serie pendant alla Libertà in America di Toqueville, con una serie di saggi sulla libertà in Francia, in Italia, in Inghilterra, in Germania ecc. Ma in me l'interesse per il moto storico prevaleva su quello per le istituzioni che esso aveva generato. Era naturale che, in quel grande mutamento di condizioni che era il passaggio dall'esilio all'esercizio almeno parziale del potere in Italia, la spinta a operare fosse per ciascuno di noi la fissazione, 11 consolidamento dei risultati acquisiti. Questo per parte mia, e probabilmente nell'intrinseco, mi avvicinò a lui e ali'Istituto che stava per rifondare; anche se non ne ebbi