Rassegna storica del Risorgimento
GHISALBERTI ALBERTO M.; ISTITUTO PER LA STORIA DEL RISORGIMENTO
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1986
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Aldo Garosa
coscienza. Ma era anche naturale che chi aveva la responsabilità di adattare alla nuova situazione l'intera storiografia italiana si preoccupasse, come faceva Ghisalberti e approfittasse delle occasioni offerte dalla congiuntura per dare nuove dimensioni e ricchezza alla materia di cui aveva assunto la responsabilità. La natura di promotore dell'incivilimento (propria della sua vocazione di maestro) si poteva del resto scorgerla già nell'episodio che lui stesso narrerà nei Ricordi, nella risposta, cioè, alla raccomandazione che Farinacci ebbe a fargli del figlio.
Allo spirito interventista, comune a lui come ai miei più diretti maestri, s'aggiunge poi, con l'avvicinarsi della fine della guerra, e, soprattutto, con l'incalzare degli atti che segnarono la fine del regime, una più intima coincidenza di sentimenti che sembrava predestinarci a lavorare assieme. Aperta ancora e più che mai in forse la battaglia d'Inghilterra, dalla quale dipendeva l'avvenire della civiltà e, per comune consenso, decisiva per la sua indipendenza nei riguardi di chi, come un De Vecchi, aveva dapprima coperto le gesta squadristiche del sanguinario Brandimarte, che ebbero il nome di stragi di Torino ; non solo, ma s'era distinto anche dai vari settori di moderata convivenza con il regime. I quali ebbero certo, durante un iniziale periodo, il consenso non solo del duce, ma di altri moderati , tuttavia inclini a discriminare tra il diritto di vita da mantenere agli Ebrei e un atteggiamento nei loro confronti di sospetto, almeno di isolamento dalla maggioranza della nazione. Ai moderati andò, oltre il favore di Mussolini, che poi li tradì, quello per esempio di un Giuseppe Bottai, il quale riscattò con la sua energia quella oscillante ambiguità. Bottai lo fece con il duro servizio nella legione straniera.
In Ghisa prevaleva senz'altro lo spirito della nuova Italia e della nuova storia che poi per un ventennio ci ha intimamente legati.
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Uno dei primi problemi che, già nel momento della crisi al mio ritorno a Roma, Alberto Maria Ghisalberti s'era posto, al di là delle responsabilità sulla mancata azione (per la quale ancora ci travagliavamo con La Malfa, Lussu e Bauer), era stato quello di ridare alla storiografia italiana nel suo complesso (restando problematico quel che si fosse o non si fosse fatto) la ricostruzione di un organismo della storiografia italiana, cui affidare il compito di sviluppare originalmente un dibattito che la portasse al livello cui aveva diritto; di creare cioè un organo che fosse il più largo possibile, che abbracciasse i rappresentanti dell'intera storiografia italiana di fronte agli stranieri, invitando questi, come di diritto, ad accoglierla, alla pari tra loro.
A questo suo metodico e intelligente lavoro noi potevamo già dare il nostro contributo. Ghisalberti (e con lui Emilia Morelli) molto giustamente, al di là della contingenza, si preoccuparono di ricostruire legalmente, in clima democratico, quell'organo di dibattiti a cui tutti potessero dare il loro contributo: una struttura che avesse un'ampia base democratica, cioè che fosse in grado di riprendere quelli che erano i grandi temi del momento e fosse assieme fondata su una salda base legale la quale consentisse volta a volta di pretendere legittimamente al sussidio, istituzio-