Rassegna storica del Risorgimento

GHISALBERTI ALBERTO M.; ISTITUTO PER LA STORIA DEL RISORGIMENTO
anno <1986>   pagina <446>
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Aldo Garosci
sostituendovi storia di sentimenti e aspirazioni, e si presta perciò sempre alla verifica di ciò che sia o non sia possibile, fe certo, comunque s'intenda, che c'era stata in quel caso una lesione della costituzione da parte di Salandra, Sonnino e del monarca alle loro spalle, segretamente impegnati dal patto di Londra; quella che il Croce elegantemente nella sua storia defi­nisce un'incrinatura, ma che anch'egli nella sua corrispondenza privata qualificava di vera e propria incostituzionale violenza politica. Eppure il filosofo stesso, inizialmente neutralista, aveva allora definito, sebbene con una circonlocuzione elegante, il carattere vero di quell'atto d'intervento, comunque mal nato che, secondo lui, fosse; e cioè che l'Italia, allora, entra dans la fournaise , fu trascinata nel gorgo da cui era impossibile uscire e che sconvolse poi tutti i popoli che, per la loro posizione geografica, non potevano sfuggire al dilemma posto dalle grandi potenze in conflitto. E il fatto stesso che il congresso venisse celebrato in Trento libera, e non da personaggi amanti della guerra, gli dava il pieno significato.
Da allora in poi non ci fu congresso dell'Istituto che mi vedesse assente; un conflitto nella scuola in cui non fossimo concordi; come quando di fronte alla cosiddetta contestazione (d'origine francese o statunitense) egli chiese invano al ministro Gui di rispondere alla radio. Nei congressi furono toccati e dibattuti tutti i temi della moderna storiografia. E ci fu la cooperazione fervida degli studiosi stranieri, largamente invitati (fino a che, con sempre maggiore sobrietà, lo permisero le finanze dell'Istituto); sembra anche giusto dire che l'angolo visuale dei relatori, di Ghisalberti in particolare, non fu mai di un nazionalismo ristretto, né di una celebrazione occasionale.
Ricorderò per esempio (poiché i pegni della prima guerra, conservati sia pur marginalmente, e con grande stento, nella seconda, erano appunto le due città nel cui segno la guerra si era combattuta), il congresso di Trento e quelli di Trieste. Quelli di Trieste, ad esempio, non furono tenuti sotto il se­gno di una ristretta visione nazionale, ma di una visione largamente europea. Ricordo che a Trieste, appunto, Ghisalberti strinse in un caldo abbraccio due degli ufficiali contro i quali aveva valorosamente combattuto, l'austriaco Engel-Janosj e l'ungherese Koltay Kastner, simboli di ciò che la città era stata sotto l'impero ma che si conservava nei nuovi tempi: non un ristretto possesso di pochi ettari di terra, ma della funzione che, fin dalla sua fonda­zione ad opera della monarchia austriaca, da noi abbattuta, Trieste era stata, e che andava conservato: non soltanto una fucina in cui gli immigrati si ritrovavano italiani, conservando la miglior cultura della patria acquisita, ma un legame con il più vasto mondo che stava alle sue spalle. Fu d'accordo con me quando ebbi a indicare nel 1917 la data in cui, indipendentemente dalla rivoluzione russa (o se mai, in rapporto con la prima delle rivoluzioni russe, quella detta di febbraio) si era avuta una mutazione negli scopi della guerra; contro i vari scettici egli sostenne con calore questa mia indicazione non facile da accettare a prima vista.
Ma c'era anche in Ghisalberti, in tutta la sua attività di oratore e di divulgatore delle più difficili realtà della critica storica a lui prossima, come una volontà di raccoglier la sfida delle difficoltà che il provincialismo inevi­tabile dei centri in cui si chiedeva di essere ascoltati offrivano all'esigenza di mantenere aperta e ampia la visione del tutto che la storia risorgimentale continuava ad essere. C'era in lui come un accorto giocare con quelle resi­stenze e superarle con la parola. Ricorderemo soltanto in proposito quel