Rassegna storica del Risorgimento
GHISALBERTI ALBERTO M.; GUERRA MONDIALE 1914-1918; STORIOGRAFIA
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1986
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Vittorio E. Giuntella
a lui, cambiando la direzione topografica: Passate l'Isonzo e torneremo fratelli . 3>
La passerella, che scavalcava l'Isonzo, era un legame, che andava ben oltre il segno topografico sulle carte e il toponimo, che sulla mia suonava Volarta e sulla sua Volar je, perché io usavo la tavoletta al 25 mila dell'Istituto geografico militare e il Maestro quella austriaca, o una sua riproduzione, che rispettava la forma slovena del vocabolo. Ma ambedue dovevamo attraversarla correndo, perché era in vista e dall'alto qualcuno avrebbe potuto sparare.
Negli ultimi mesi, quando a poco a poco la grande luce di intelligenza e di memoria si stava offuscando, se volevamo sottrarlo alla sua apparente assenza, dovevo richiamare quei nomi: Monte Nero, Monte Rosso, Sleme, Merzli, Javorcek, Stol, Luico, Smasti, Ladra... Ma quando pronunciavo Volaria il Maestro correggeva, una volta di più, l'incorreggibile discepolo: Volarje. Così fu uno degli ultimissimi giorni, quando già era in agonia, e sembrava del tutto lontano e senza più conoscenza: Volarje . Poi più niente; il discorso si interruppe per sempre e allo scolaro non restò che sussurrare al Maestro qualche parola di supremo conforto.
Su quei monti, che sovrastano la passerella di Volarje, il Maestro aveva combattuto la sua guerra, l'ultima guerra del Risorgimento (un endecasillabo di sapore gozzaniano dirà un giorno), 4> la guerra per il raggiungimento della unità delle genti italiane e, insieme, per la liberazione di altri popoli alla ricerca, come il nostro nell'Ottocento, della propria identità nazionale. Il Maestro ricordava le parole di Mazzini agli slavi, incitanti ad una comune liberazione, come parte dell'unione di tutte le nazioni. Questo era il patrimonio spirituale, che animava il Maestro, mentre i pensieri del discepolo erano colmi di angoscia e non era più un rifugio per lui il vecchio ed immorale adagio straniero: giusto, o ingiusto, è la mia patria , perché aveva letto in Leopardi che non vi è Patria, se non v'è libertà .
Ricordo un giorno, nel 1953, durante una gita d'istruzione della Scuola, la Scuola del Maestro, la Scuola con la S grande, come dicevamo con orgoglio. Eravamo saliti sul Grappa con altri studenti del Collegio di Santa Gorizia . Lassù ci eravamo raccolti e si era tutti insieme in una grande caverna del monte, ricordo della guerra, forse per ripararci dal freddo, o dalla pioggia, e il programma prevedeva una commemorazione. Il primo a parlare fu un celeberrimo autore di scritti ed odi sulla guerra. Era un incomparabile retore e fu all'altezza della sua fama. Il nostro Maestro disse parole semplici: non si trattava di strappare al nemico di allora, riparato nella sua trincea, un palmo di terreno, ma di restituire a lui e agli italiani la dignità di uomini liberi in nazioni pacificate e sorelle. I due discorsi stridevano tra di loro e il retore si offese per la contraddizione, ma discepoli e collegiali erano consenzienti. La conquista di qualche metro di terreno oltre la trincea di partenza non era stato per il Maestro
J) Si veda V. E. GIUNTELLA, L'opinione cattolica e la questione dei confini orientali, In Atti del Convegno: Problemi di storta della Resistenza In Friuli, Udine, 1983, p. 41.
4) Atti del XLI Congresso di storia del Risorgimento italiano. (Trento, 9-13 ottobre 1963), Roma, 1965, p. 11.