Rassegna storica del Risorgimento
GHISALBERTI ALBERTO M. DIARI; GUERRA MONDIALE 1939-1945
anno
<
1986
>
pagina
<
472
>
472
Carlo Giisalberli
esperienza successiva è facile giudicarla tale. Molti allora, però, dovettero averla sull'onda di Vittorio Veneto e sulle delusioni per il primo periodo postbellico rese più. aspre dal mito largamente diffuso della vittoria mutilata.
Comunque egli non si sottrasse al sentimento collettivo di gioia per il successo della guerra d'Africa e per la conquista dell'Etiopia e di esaltazione per il senso di potenza e di prestigio che parve derivarne all'Italia.
Il giovane combattente della prima guerra mondiale, maturando negli anni, era, però, rimasto istintivamente antitedesco nell'animo. E, pertanto, il graduale accostamento mussoliniano alla Germania nazista, verso la quale provava un autentico senso di diffidenza e di ribrezzo, gli pareva innaturale e contrario alla tradizione patria da lui, storico del Risorgimento, sentita e vissuta in modo razionale ed emotivo insieme.
Ne reca testimonianza la breve nota, carica di senso drammatico e di sdegno, contenuta alla data 12 marzo 1938: Il governo di Schuschnigg è caduto. Hitler fa occupare l'Austria: il Reich è al Brennero! Vent'anni dopo la fine della guerra: che giornate si vivono! . E, pochi giorni dopo, evidentemente ad ulteriore commento dell'ingresso tedesco in Vienna, del plebiscito hitleriano e della sorte di quella nazione: Finis Austriaeì E noi ora? .
I timori e le speranze per l'avvenire sembrano alternarsi nei mesi successivi se il 7 marzo scrive: Ascoltati i discorsi del Duce e del Fuhrer alla radio: solenne garanzia per la nostra frontiera , e se poco dopo riferisce di notizie raccolte sui preparativi militari tedeschi in vista di un futuro conflitto.
Ma da allora il motivo razziale, con lo sdegno e la paura per la prossima legislazione antiebraica, diventa ricorrente nelle sue annotazioni che logicamente riflettono insieme la preoccupazione per le sorti della famiglia ed il timore di vedere l'Italia anche in questo orrore affiancarsi alla Germania.
Si legge nelle breve annotazioni la partecipazione viva e sofferta al dolore di mamma e dei nostri parenti più vicini per la canea montante del razzismo antiebraico, la rabbia per la vergogna e la bruttura dell'antisemitismo e per il tradimento alla tradizione di libertà religiosa e di civile tolleranza del paese, l'ansia per la portata effettiva dei provvedimenti discriminatori ai danni degli appartenenti alla ed. razza ebraica e la speranza che qualcosa ne possa arrestare l'applicazione.
Speranza, come è noto, vana perché dalla fine di agosto ai primi di novembre si seguono le notizie sui provvedimenti che modificano radicalmente con la vita della minoranza israelita in Italia anche le sorti della mia famiglia, colpita colla cacciata di mamma dall'insegnamento medio e con la brutale espulsione dei miei parenti dai posti di lavoro e dalle scuole, espulsione che costringerà taluni prima e altri poi ad abbandonare l'Italia verso terre allora meno ostili.
La vicenda spagnola, quella cecoslovacca, la farsa dell'occupazione dell'Albania, le minacce hitleriane alla Polonia sono via via registrate ed annotate nel loro crescendo drammatico rivelando quel progressivo allentarsi dell'innato ottimismo che lo portava a sperare che il peggio potesse essere evitato e che la guerra non sì verificasse per un ultimo sussulto di ragione collettiva. Ma, dopo Monaco che aveva visto il baratro della Cecoslovacchia contro una breve tregua, e dopo la crescita degli appetiti hitleriani, le note sulle voci e sulle notizie della guerra imminente si fanno frequenti e con esse la percezione della tragicità degli eventi incombenti che si susseguono