Rassegna storica del Risorgimento
GHISALBERTI ALBERTO M.; UNIVERSIT? DI PALERMO FACOLT? DI LETTER
anno
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1986
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488
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Massimo Ganci
poetiche dalle Odi Navali e dalle Laudi. Il Risorgimento, infatti, non poteva non gravitare per lui sulle grandi arcate della patria e della nazione. Come per tutti gli uomini della sua generazione del resto, anche i più disincantati. Valga il caso di Adolfo Omodeo. Ritornava però spesso su Mazzini, del quale metteva in evidenza il filone romantico su quello illuministico, sul Mazzini della Costituente romana. Accanto a Mazzini puntualmente collocava il conte di Cavour che il sogno unitario aveva disvestito dell'utopismo calandolo nella realtà sabauda. Chiudevano la serie il bel guerille.ro del Rio Grande e Pio IX e il baffuto Re Galantuomo. Figure indispensabili ad un quadro risorgimentale serenato e dialetticamente composto, come aveva intuito la stampa popolare che i quattro grandi dell'unità italiana aveva raffigurato intenti a giocare insieme uno storico tresette !
Era stato, dunque, l'ideale patriottico, il cemento unitario del Risorgimento, la tensione che aveva mosso le generazioni di ieri a battersi centocinquanta anni fa per un ideale sino a quel momento relegato nella fantasia dei poeti o nelle pagine degli economisti d'avanguardia.
Questo Risorgimento, per Ghisalberti, era un fatto italiano, generato da causali italiane, la cui ascendenza bisognava ricercare nella società italiana sin dal primo Settecento. Con questo, però, egli non negava l'influsso della Rivoluzione francese nel corso degli eventi italici. La puntarella giacobina latente nella sua personalità culturale e, ancora di più, il suo carattere, si rivelavano nell'atteggiamento di marcata costante simpatia per la grande Rivoluzione .
Dalla lettura delle dispense dalle lezioni dedicate da Ghisalberti alla Rivoluzione francese, emergono giudizi interessanti per la loro attualità storiografica, specie se considerati in rapporto all'epoca in cui venivano enunciati. Giudizi che si differenziavano dal cliché convenzionale in chiave di orrore ed esecrazione che i testi italiani, soprattutto quelli destinati ad essere adottati nei licei, presentavano di Massimiliano Robespierre. Ricordo ancora che Alfonso Manaresi nel suo corso di storia per le scuole superiori, lo definiva addirittura il tiranno dalle mani lorde di sangue !
Ciò non significa che noi, almeno quella parte di noi che cominciava a subire una determinata evoluzione politico-culturale, concordassimo con Ghisalberti. Il nostro atteggiamento nei suoi confronti era polemico, ovviamente nei limiti in cui poteva essere polemico l'atteggiamento delle matricole (e delle matricole di cinquantanni fa!) nei confronti di un cattedratico. In effetti un abisso lo divideva dalla nostra generazione. Lui, figlio dell'Italia giolittiana, dell'Italia del meriggio borghese durante il quale la lira faceva aggio sull'oro e i padri guardavano senza apprensione all'avvenire dei figli; noi, coetanei o quasi, di Elio Vittorini, di Alberto Moravia e di Vitaliano Branca ti, costretti ad assumere atteggiamenti eroici che non ci erano affatto congeniali. In realtà, quando venne il momento, la generazione degli anni venti combatté e mori con dignitosa serietà, ancora più apprezzabile in quanto scevra di ogni esaltazione. Ma allo stellone d'Italia essa guardava con scetticismo. L'unica vampata di entusiasmo nazionalistico riuscì a provocarla in noi Nicolò Carosio, in quel fatidico pomeriggio di non ricordo più quale mese dell'estate 1938 allorché urlò nel microfono che Peppino Meazza, se non ricordo male, per la Nazionale italiana, aveva segnato allo stadio del Parco dei Principi, quel quarto goal contro gli ungheresi che ci assicurava per la seconda volta la conquista della Coppa Rimet!