Rassegna storica del Risorgimento

GHISALBERTI ALBERTO M.; UNIVERSIT? DI PALERMO FACOLT? DI LETTER
anno <1986>   pagina <489>
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Ghisalbcrli a Palermo
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Era, dunque, come se parlassimo linguaggi diversi. Per Ghisalberti il Risorgimento era un fatto ancora aperto; per noi era un capitolo defini­tivamente chiuso. Un nobile capitolo che giungeva alla battaglia di Vittorio Veneto e non oltre. A lume di naso anticipavamo la polemica che qualcuno di noi, eretico di sinistra , avrebbe mosso, vent'anni più tardi, contro gli storici fautori della linea nazionale popolare che avrebbero cercato gli agganci impossibili tra la lotta partigiana, fenomeno sostanzialmente di classe, e le lotte risorgimentali di estrazione nazionale e liberale.
Eppure c'era un aspetto dell'insegnamento di Ghisalberti che ci con­vinceva. Era il continuo riferimento che egli faceva alla componente morale che aveva operato nella storia d'Italia. Massimo d'Azeglio, il moderato realizzatore che, pur avversario di Cavour, aveva lo stile di proporlo al Re quale suo più degno successore; Giovanni Lanza che consegnava al nuovo titolare del Ministero degli Interni i fondi segreti e, la stessa sera, scriveva alla moglie di rimettergli urgentemente le cinquanta lire necessarie a saldare il conto dell'albergo; Quintino Sella che personalmente consegnava i pennini agli impiegati del suo ministero; Giovanni Giolitti che, dimissionario, ordinava al cocchiere della carrozza ministeriale di mettersi a disposizione del successore e tornava a casa con una vettura da nolo.
Esempi che spesso ricorrevano nella lezione di Ghisalberti. Ci trova­vano attenti e ci stimolavano a riflettere. Quale differenza tra lo stile dei valentuomini della destra e la disinvoltura della classe dirigente anni ottanta! Ma anche di quella della fine degli anni trenta anticipatrice di un malgoverno di proporzioni molto più vaste. Essa ci faceva sfilare in parata, ma ci addestrava altresì alla prosaica Realpolitik dei G.U.F. Nell'ambito dei quali lievitava certo una vaga opposizione al regime, ma prosperava altresì l'atti­tudine al clan personalistico, al corridoismo, alla congiura contro il segre­tario Tizio o all'addetto alla cultura Sempronio.
I grandi esempi di Sella e di Giolitti diventavano l'inquietudine della nostra coscienza! Certo saremmo stati molto meno inquieti se avessimo potuto antivedere gli atti e i misfatti della classe dirigente 1980. Di conse­guenza, se qualcuno dei nati negli anni venti continua ad ostinarsi, oggi, a nutrire un sentimento di ammirazione per Massimo d'Azeglio e Giovanni Lanza, ne è responsabile il professore Alberto Maria Ghisalberti.
Dal 1938-39 ad oggi molta acqua è passata sotto i ponti. Ghisalberti, rimasto fedele al suo primo amore, il Risorgimento, non è più tra noi.
Lo ricordiamo tutti con rispetto e anche con affetto, come un uomo che credeva alle sue idee. Quanto a me ricordo soprattutto i suoi momenti di sdegno. Quando, eretto nella gran possa della sua persona egli puntava il dito contro il sottoscritto a rimproverargli certe affermazioni eccessiva­mente iconoclastiche. Ma lo faceva così bene, e con tanto liberalismo, che il medesimo sottoscritto non può che continuare a volergli bene, come al più caro degli avversari .
MASSIMO GANCI