Rassegna storica del Risorgimento
GHISALBERTI ALBERTO M.
anno
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1986
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pagina
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495
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Insegnante universitario a Roma
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le argomentazioni e le finalità di chi fondava, dirigeva e compilava i diversi giornali.
Ghisalberti esortava però a non limitarsi al lavoro in biblioteca e a entrare anche negli archivi e nei musei; e questo pressante invito a raggiungere i manoscritti, i documenti, ed anche fonti non scritte, caratterizzava, a mio parere, il suo insegnamento e dava solidità e concretezza al suo discorso.
Riteneva che anche uno studioso di storia contemporanea dovesse accostarsi alle fonti con l'ausilio della più rigorosa metodologia filologica e critica che dal tempo dei Maurini a quello dei positivisti era stata adoperata soprattutto per lo studio del Medioevo e del Rinascimento. E insisteva sulla necessità di partire dall'accertamento dell'autenticità o meno di una fonte; così, stimolato da un infelice passo di un grave discorso politico di Giuseppe Pella, narrava la storia del falso messaggio di Lincoln a Macedonio Melloni, che sarebbe stato trascritto da Mazzini. L'esempio aveva caratteri tradizionali, riguardando il contenuto di un documento manoscritto (anche se poi diffuso attraverso la stampa), ma l'ammonimento di Ghisalberti valeva a rendere più avvertiti i suoi allievi di fronte ai pericoli che presentano anche le fonti stampate, che non sempre sono autentiche. E quella tradizionale critica estrinseca e intrinseca del documento, che anche sulla falsa lettera di Lincoln era stata esercitata, andava compiuta aggiungeva Ghisalberti sia per stabilirne l'autenticità, sia la datazione o altri elementi che a volte possono rivestire una rilevante importanza. Cose ovvie naturalmente, forse ancora oggi, per gli studiosi del medioevo e dell'età moderna, ma non sempre, direi, per tutti coloro che attualmente studiano o insegnano la storia dell'ultimo secolo.
Se il ritomo ai documenti, agli archivi, doveva largamente diffondersi nell'ultimo dopoguerra per giungere, in seguito, anche a degli eccessi (perché non sempre l'ampia ricerca e l'abbondante pubblicazione di documenti sarebbero state accompagnate dal necessario rigore metodologico e da un approfondimento interpretativo), scandaloso doveva restare invece l'invito a frequentare i musei.
Le fonti non scritte apparivano infatti, generalmente, poco degne di attenzione da parte degli studiosi di storia moderna e contemporanea (anche se ormai nota e apprezzata era l'opera di Huizinga). Le resistenze che Ghisalberti, come presidente dell'Istituto nazionale del Risorgimento, incontrava per l'apertura dello stesso Museo Centrale dell'Istituto, erano allora confortate, sul piano culturale, da un atteggiamento di disinteresse, se non di aperto disprezzo, per istituzioni, i musei, ch'egli giudicava invece utilissime, non soltanto sul piano divulgativo e didattico, bensì anche su quello proprio della ricerca scientifica, soprattutto al fine di cogliere le modalità dell'innesto dell'eccezionale nel quotidiano.
Ho già ricordato l'esperienza della mostra della Repubblica Romana del 1849 e il valore che veniva attribuito ad oggetti esposti come particolarmente significativi e utili per la comprensione storica; ma non soltanto in quella occasione Ghisalberti segnalava ai suoi allievi disegni, quadri, caricature, stampe popolari, che potevano, a suo giudizio, rivelare delle verità che sfuggivano a chi si limitava alla utilizzazione di libri, giornali e documenti d'archivio. Valga fra tutte la citazione della stampa illustrante un tresette in Paradiso , che dimostrava la diffusione anche a livello popolare