Rassegna storica del Risorgimento

GHISALBERTI ALBERTO M.
anno <1986>   pagina <496>
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Fausto Fonzi
di una visione del Risorgimento, che sarebbe stata successivamente consa­crata in autorevoli interpretazioni storiografiche.
La raccomandazione di Ghisalberti a tener conto di ogni specie di fonti (così da illuminare, non solo gli aspetti strettamente politici o relativi all'alta cultura degli intellettuali, ma pure quelli concernenti la storia della psicologia individuale e collettiva, della mentalità di minoranze e di più vasti ambienti popolari) si collegava anche al suo invito a evitare l'espres­sione di giudizi fondati (per frettolosa superficialità o per interessati pre­giudizi) sulla utilizzazione di una sola fonte, di una sola voce. Chi dei suoi allievi non ricorda il frequente richiamo al principio dell'* Audiatur et altera pars , dell'* Odi l'altra parte... ? Egli ricordava infatti che lo storico deve sì esprimere delle valutazioni, delle conclusioni, ma solo dopo avere ascoltato le diverse parti, per giungere a dei giudizi ben fondati ed equili­brati, facendo sì che l'attività storiografica non si riduca ad un prolunga­mento nel tempo di antiche faziosità. Proprio la possibilità (soprattutto nello studio di tempi recenti) di raggiungere molte fonti di diversa origine doveva infatti, a suo parere, essere ampiamente sfruttata per garantire il carattere profondo e comprensivo di conclusioni da esprimere al termine di un lavoro compiuto senza vincolanti pregiudizi o paraocchi.
Egli dava poi molta importanza all'ultima fase del lavoro dello storico, quella della comunicazione, della preparazione del dattiloscritto per la pub­blicazione, soprattutto quando si trattava di un libro. Esortava, con le parole e con l'esempio, al rigore metodologico anche formale, alla citazione precisa, alla esatta indicazione delle collocazioni archivistiche, alla comple­tezza della bibliografia; alla personale e attenta cura dell'indice dei nomi. Non ammetteva l'assenza, in un volume dì storia, di tale indice e raccoman­dava di porre sempre, accanto ai cognomi, i nomi di battesimo per intero, anche come verifica utile ad evitare la pubblicazione a catena di errori e imprecisioni, come controllo di una esatta identificazione delle persone, come spia insomma della serietà, della moralità, dell'intero lavoro.
Non si proclamava pedagogista o cultore di didattica della storia , ma voleva essere e fu maestro di insegnanti per le scuole secondarie e per le università. E insegnava soprattutto, principalmente con l'esempio, a non limitarsi alla ripetizione di forme tradizionali, ufficiali e obbligatorie (anche se era assiduo ai tre appuntamenti settimanali per le lezioni), ma piuttosto a ricercare, a inventare, a praticare forme didattiche diverse e nuove; a cogliere ogni occasione adatta a far meglio comprendere il passato, e a presentare gli strumenti utili per conoscerlo, agli studenti e ai laureati.
Preparava la lezione anche per ciò che riguardava la forma, per dare ad essa la massima efficacia; egli, grande conferenziere, costruiva infatti con cura una esposizione ben proporzionata e, parlando a voce alta e chiara, riusciva a far sì che le citazioni, a memoria o leggendo dei testi, non risul­tassero pesanti, ma contribuissero invece a rendere la lezione più viva per la suggestione che esercitava sugli studenti il diretto ascolto delle testimonianze.
Ho già ricordato le esercitazioni e i seminari, che avevano luogo alla Università (ove, se ben rammento, discussero le loro tesine Bruno Gatta e Salvatore Carbone), ma più spesso al Vittoriano; Ghisalberti pensava però che un insegnamento efficace dovesse trovare anche altre forme, non obbli­gatorie e più rare, meno ortodosse e meno ufficiali, da realizzare anche