Rassegna storica del Risorgimento

GHISALBERTI ALBERTO M.; UNIVERSIT? DI ROMA FACOLT? DI LETTERE E
anno <1986>   pagina <505>
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1968: le dimissioni del Preside Ghisalberti 505
qualcuno dei membri del Senato dovette suggerire le condizioni di salute come attenuante di una decisione certamente grave e forse il Rettore pro­pose, e Ghisalberti acconsentì a soprassedere alla formalizzazione dell'an­nuncio, magari nella speranza che le cose potessero migliorare prendendo il Ministero un atteggiamento meno sconsolante. Probabilmente il Preside di Lettere non trovò di suo gradimento la giustificazione soggettiva che nulla aveva a che vedere con le sue motivazioni reali come emergeranno dalla lettera inviata al Ministro il 5 marzo, e forse acconsentì di mala voglia al silenzio in verbale, ma Ghisalberti aveva un tale senso delle istituzioni che accettò la soluzione, che poi soluzione non era, proprio per un senso di condivisione. Alla fine di quell'adunanza, poi, si decise di invitare gli studenti a sgombrare le Facoltà occupate e a rientrare nella legalità dove può darsi che l'accenno alla legalità fosse richiesto proprio dal Preside della Facoltà in quei giorni più investita dalle agitazioni.
Il corpo dei docenti registrava anch'esso interne spaccature: da un lato i politici ed i politicizzati, dall'altro i più per i quali la politicizzazione dell'Ateneo era francamente uno scandalo. Il 10 febbraio, alle ore 20, il Senato si riunì per conoscere l'esito della consultazione che quello stesso giorno si era svolta in seno alla massima assise dei professori di ruolo: i titolari di cattedra, i baroni . L'esito risultò a grande maggioranza favorevole alla linea seguita fino a quel momento dalle Autorità Accademiche: delle tre mozioni presentate conclusivamente al voto del Corpo Accademico, prevalse quella di Giovanni Leone con 117 voti contro i 29 attribuiti a Guido Calogero e i 28 a Massimo Severo Giannini. Presone atto con soddisfa­zione , il Senato rinnovò il più pressante invito agli studenti affinché sgombrino i locali occupati allo scopo di rendere possibile l'immediata ripresa degli esami . Mancò ogni giudizio sui fatti e sugli atti, la decisione fu diffusa a mezzo stampa ed ebbe un certo successo tanto è vero che il giorno 14 il Senato Accademico romano potè registrare con un mezzo sospiro di sollievo lo sgombero delle Facoltà di Magistero e di Scienze Statistiche.
Che la gestione dell'affaire subisse lo stato di necessità e non seguisse un progetto politico di interventi ponderati e progressivi sta a dimostrarlo anche il fatto che il Senato, in quella occasione, parve voler lucrare troppo e stabilì che, riprendendo gli esami, quelli di Lettere e di Architettura non si sarebbero svolti nelle rispettive Facoltà in quanto non possono essere validamente e regolarmente fatti in sedi universitarie illegittimamente occu­pate, bensì in locali dell'Università che sarebbero stati indicati a mezzo stampa. Occupazione o no, dunque, gli esami sì sarebbero svolti. Nessuno dubita della buona fede di quel Senato Accademico, ma forse fece difetto un poco di prudenza perché fare un atto di forza a ferita aperta non poteva essere interpretato dalla controparte se non come volontà di vanificare la logica stessa dell'occupazione con un atto autoritario e quindi come una provocazione grave. I giorni successivi furono più confusi che caldi finché il 22 un folto gruppo di studenti invase il Rettorato con l'evidente scopo di occuparlo: uno sciame si diresse verso il lato dove allora avevano sede gli uffici del personale e della ragioneria, tentò di coinvolgere i non docenti, non ci riuscì e finì con l'abbandonare 11 campo; l'altro, più grintoso, occupò i corridoi attigui alle Segreterie studenti promettendo sconquassi e fuoco e tentando di abbattere la porta di comunicazione con la Facoltà di Lettere