Rassegna storica del Risorgimento
GHISALBERTI ALBERTO M.; STORIOGRAFIA ITALIA
anno
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1986
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pagina
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515
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Vecchie polemiche e questioni attuali
resistenze ostinate, anche se fatte piuttosto di inerzia e di misoneismo che non di attive contrapposizioni polemiche. In verità reazioni pronte e positive non erano mancate, checché si sia detto a carico del trionfante idealismo, nella storiografia degli anni Trenta al primo impatto importante con la nuova storiografia quantitativa, quando si cominciarono a saggiare e adottare anche da noi i metodi introdotti da E. J. Hamilton nei suoi lavori sulla rivoluzione dei prezzi. E tuttavia molti storici anche di valore parvero presi in contropiede, ancora a dieci anni e più dalla fine della guerra, quando in Italia si cominciarono a utilizzare serie statistiche di lungo periodo e su larga scala negli studi dedicati allo sviluppo del capitalismo industriale, e si cercò di chiarire il dibattito anche alla luce delle connesse teorie economiche che allora si affermavano nella scienza economica internazionale. Chi scrive crede, a torto o a ragione, di aver avuto qualche parte nella primissima applicazione di questi strumenti nel nostro paese; e crede inoltre di ricordare che mi certo smarrimento colse anche l'ambiente medioevali-stico, quando, presso che negli stessi anni o poco dopo, David Herlihy introdusse moderne tecniche statistico-demografiche nello studio degli insediamenti e della popolazione dell'Italia altomedioevale, sia pure in un periodo in cui la scarsezza dei dati rendeva questa innovazione tanto più rischiosa (anche se la stessa età contemporanea richiedeva, come più volte si è detto, cautele non minori nell'utilizzazione di serie statistiche alla cui apparente compattezza non corrisponde certo un grado analogo di solidità).
Ma, insomma, in un'epoca in cui altrove si cominciava a parlare di impiego dei calcolatori nelle scienze storiche (e non solo nella storia economica), in Italia appariva richiesta peregrina quella di dotare un Istituto di storia di qualche macchina calcolatrice meccanica. Che poi in tutto ciò vi fosse molto di illusorio; che le mirabolanti promesse della new economie history e le sue ipotesi controfattuali abbiano dato frutti ben meschini a fronte delle anticipazioni di venticinque anni fa; e che adesso dal paese medesimo donde venne la storia seriale giungano le denunce della crisi della storia quantitativa (per bocca di un non secondario esponente di quest'indirizzo come Maurice Aymard, che ne ha fatto oggetto di una relazione a un convegno tenutosi a Capri nell'ottobre 1986), è, a mio avviso, tuia vicenda ricca di insegnamenti, che confermano in buona parte la saggezza di chi, come Hexeter, si congratulava con la storia per avere rifiutato i molti matrimoni non convenienti che le sono stati proposti, almeno, dai tempi di Auguste Comte.
E tuttavia, un bilancio del tutto ottimistico non può lasciare soddisfatti. Restano, comunque, vicende come quella dell'insegnamento di metodi quantitativi per le scienze storiche , proposto una ventina d'anni fa nella facoltà di Lettere di Roma, e mai approvato dai superiori organi ministeriali, a testimoniare un inquietante misoneismo dell'ambiente; e quando invece alcuni hanno voluto indossare l'abito sgargiante dei novatori ad ogni costo, i risultati sono stati quella autentica deformità che sono i corsi di laurea in storia, ovvero gli studi di microstoria , nei quali la ricerca dell'irrilevante è eretta addirittura a principio. E, insomma, il bilancio di tutto ciò è che questa vicenda intellettualmente importante dell'incontro-scontro fra storia e scienze sociali ha visto il nostro paese relegato su posizioni sostanzialmente marginali, di registrazione o eco più o meno passiva di indirizzi maturati in altri ambienti culturali e storiografici. V'è anche, e non lo