Rassegna storica del Risorgimento

SOCIET? ITALIANA DI MUTUO SOCCORSO ARGENTINA
anno <1987>   pagina <64>
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64 Libri e periodici
eversivo; incapace, forse, di resistere alla tentazione di continuare a giocare il ruolo di protagonista che si era conquistato nel mondo culturale bolognese; ma neppure in grado di cogliere la complessità degli equilibri politici che quell'atto rivoluzionario aveva messo in movimento. In questo senso è credìbile quando scrive, nei suoi ricordi, di non essersi potuto sottrarre all'ingranaggio rivoluzionario, cosi come, negli anni precedenti, non poteva non essere partecipe di quelle idee nuove delle quali, in un paese come Bologna... anche i sassi sono imbevuti .
La restrizione della libertà e l'esilio hanno rappresentato una dura esperienza, dalla quale tanti uomini del Risorgimento uscirono provati nello spirito e scossi negli orienta­menti ideali. Per Orioli il mutamento, in termini oggettivi, fu profondo. Ma si tenga presente, suggerisce Marcelli, che, ancora negli anni trenta, il passo fra moderatismo e reazione era breve, specie laddove mancava una visione politica complessiva, europea, del problema nazionale italiano.
Là non eccelsa statura politica del viterbese è stata confermata dalla relazione di Marcelli, ma anche da quella di Bruno Barbini su L'esilio e l'attività politica degli ultimi anni. La stessa elezione di Orioli al Consiglio dei deputati dello Stato pontificio, nel 1848, appare piuttosto dettata dalla volontà di ottenere un riconoscimento una sorta di atto dovuto dai concittadini di Viterbo dopo sedici anni di esilio che il segno di un ritorno alla vita politica in sintonia con i tempi nuovi. Collocatosi all'estrema destra di quelle assise. Orioli si dimette prima ancora dell'uccisione di Pellegrino Rossi e conclude così la sua esperienza di politica attiva. A questo punto, osserva Marcelli nel corso del dibattito, fa un salto di posizione politica (io direi che porta a compimento una lunga parabola politica iniziata dopo il 1831, momentaneamente e solo in parte interrotta o, se si vuole, rallentata, dalle vicende del 1847-48) che lo spinge ad esprimere apertamente un convinci­mento sul quale rimarrà fermo sino alla fine: la necessità, la razionalità dell'esistenza dello Stato pontificio, con i suoi ordinamenti economici e le sue gerarchie di ceti.
La relazione di Barbini completa il quadro di questa biografia politica. Il presidente del Comitato viterbese ha ripreso, con alcuni approfondimenti, il contributo presentato all'incontro di studio sui moti del 1831, organizzato dal Comitato di Bologna nel 150 anni­versario di quelle vicende (ora in Bollettino del Museo del Risorgimento, Bologna, aa. XXVI-XXVII, 1981-1982), incentrato sulle lettere scritte da Orioli all'amico viterbese Filippo Saveri fra il 1819 e il 1853 e conservate nella Biblioteca degli Ardenti. La maggiore cautela che traspare nelle valutazioni di Barbini sull'operato politico di Orioli è frutto di una certa qual simpatia umana e intellettuale nei confronti del personaggio riscoperto
molla senza la quale ben poco fecondo sarebbe il lavoro dello storico oltre che della volontà, dichiarata, di comprendere a fonde le motivazioni e i condizionamenti, concreti e pressanti, delle scelte via via operate da Orioli.
Non si tratta di una tendenza giustificazionista, precisa Barbini, il quale sottolinea, con il Torlonia, le oscillazioni della vita politica del viterbese, la sua tendenza a bilan­ciare gli estremismi con estremismi di segno opposto (d'altro canto, a leggere tra le righe della celebrazione del Torlonia, all'indomani della morte di Orioli, si coglie un giudizio sul politico, sullo scienziato e sull'uomo, che ben poco concede al giustificazionismo).
L'esile poeta e letterato, che pure fu stimato da Leopardi e Giordani; l'estroso scienziato, che seppe applicarsi alla psicologia canina come e con maggiore profìtto alla formazione della grandine, onde prevenire i danni; l'archeologo studioso del mondo etrusco-italico sono stati oggetto delle relazioni di Domenico Mantovani, Fiorenzo Nappo e Adriana Emiliozzi Morandi. Se dal lavoro del poeta, dello scienziato e del tecnico nulla o quasi è rimasto nel nostro patrimonio culturale, lo studioso e scopritore dell'anti­chità ha lasciato traccia sicura di sé - anche se i risultati dei suoi studi non hanno attinto quella dimensione e sistematicità che sono proprie delle opere giudicate classiche
per almeno tre motivi, sottolineati dalla professoressa Emiliozzi: le sue scoperte, la sua
aspirazione, tutta moderna, ad un'attività di ricerca capace di mobilitare diverse energie
intellettuali per conseguire più avanzati esiti scientifici; e infine un metodo di lavoro
antidogmatico, una visione perennemente critica e quindi dinamica dei risultati di volta
in volta raggiunti. n
ALBERTO PRETI