Rassegna storica del Risorgimento

SOCIET? ITALIANA DI MUTUO SOCCORSO ARGENTINA
anno <1987>   pagina <70>
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Libri e periodici
E che cosa, del resto, e per converso, lo avvicinava al Salvemini unitario e già prima antiprotezionìsts, ma su una linea di socialismo indipendente e di meridionalismo partecipazionista che De Viti non si sentì mai di condividere fino in fondo?
Rispondere nel primo caso col ricordare il radicalismo politico del pugliese rispetto al rigoroso allineamento del piemontese alla tematica conservatrice del Corriere della Sera ha senza dubbio un certo fondo di verità, che va peraltro ridimensionato allorché si rifletta all'accezione del tutto personale, alla Pantalconi, vorremmo dire, sul piano non soltanto economico, che De Viti conferì alla sua milizia politica radicale ed alla relativa interpretazione.
E parimenti il liberismo dei princìpi ed il concretismo del metodo non bastano a giustificare del tutto una fratellanza d'armi incrollabile con Salvemini, in tempi nei quali le grandi battaglie di politica commerciale dei primissimi del secolo, ed ancor prima, non erano che pallidi ricordi del passato, i partiti si disfacevano e si ricomponevano vortico­samente e la realtà sociale del paese s'imponeva, dopo la guerra, come un banco di verifica ineludibile, col quale fare i conti.
Ed allora il problema si configura forse in modo più pregnante attraverso un esame ravvicinato condotto in negativo, per così dire, nei confronti dei grandi avversari comuni e costanti, Giolitti e Nitti.
La democrazia liberale dell'uno, infatti, ed il radicalismo dell'altro, nulla hanno da spartire con le consimili formule delle quali pure il De Viti si fa appassionato fautore, e lo spartiacque è probabilmente da ricercarsi nel forte afflato popolare e sabaudo che pervade la prima (la monarchia socialista di cui parlava Missiroli, con un binomio detestato da lui non meno che da De Viti, il quale per i Savoia non risulta mai essersi scaldato molto, ed era troppo economista, aristocratico ed elitario per abbracciare una prospettiva di riformismo popolaresco e socialisteggiante) e nell'ancor più accentuata conno­tazione industria Ustica espressamente assunta dal radicalismo di Nitti. secondo una sensibilità ed una vocazione che più d'una volta l'A. rivendica, correttamente, anche al De Viti, ma che senza dubbio è subordinata alla piattaforma di democrazia rurale su cui è costruito gran parte del suo meridionalismo, e che viene dall'A. forse eccessivamente sottovalutata.
A questo punto il criterio distintivo, tipicamente anglosassone, secondo quella che è davvero una filosofia civile intransigente nel De Viti, diventa l'individualismo, ed è qui che si consumano sia la milizia al fianco dell'intellettualismo più o meno illuminista di Salvemini (e già prima di quello di Pantaleoni, che rimane l'altro principalissimo amore, ancorché deluso, del Nostro), sia la lunga presa di distanza nei confronti di Einaudi e di Alberini, la cui anglomania si rivolge sempre alla società, alle istituzioni, guardando magari a Disraeli, piuttòsto che non all'opinione pubblica illuminata degli economisti.
De Viti De Marco pensatore e scrittore d'elite, dunque, questo il punto d'arrivo su cui l'interpretazione può provvisoriamente attestarsi, con una precarietà dimostrata se non altro dalla mancanza di un'adeguata collaborazione culturale e politica con colui che, una volta emarginatisi da sé i sociologismi esasperati di Pareto, sembrava dover essere l'interlocutore congeniale del Nostro, ed infatti lo era. ma a livello simpatetico, per così dire, ancor più che nel caso di Pantaleoni, assai meglio che non sul piano operativo, e cioè, naturalmente, Gaetano Mosca, sul cui sfondo si delineano forse troppo vistosamente e pericolosamente 3 grossi conservatori detestati da De Viti non meno che i democratici dell'opposta estrema, da Rudinì a Sonnino.
Giacché De Viti è un democratico a mezzo fra Tocqueville e Wilson, ed è all'elabo­razione concettuale dello Stato democratico ed antimilitarista alla Spencer che rivolge le sue ricerche teoriche giovanili degli anni ottanta, pur mettendo la sordina all'industrialismo antistatalista del maestro e concentrando la sua polemica contro gli interessi particolari con un richiamo a Cobden che, nella situazione data, significava guerra aperta a Crispi in nome dei contri bueni i-consumatori e del controllo do parte della pubblica opinione, quello Stato dal basso che i giuristi negavano (forse l'influsso di Arcoleo e specialmente di Gianturco è stato sottovalutato in proposito rispetto al frenetico attivismo ed al genio strategico di Orlando) si da farlo inserire da dominatore fra Crispi e Giolitti a deter­minare, frenare e plasmare ben più che non le dispute dei dottrinari.