Rassegna storica del Risorgimento
CAVALLOTTI FELICE; CRISPI FRANCESCO; HERZ CORNELIUS
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1987
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pagina
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493
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Lo scandalo della decorazione Herz 493
Il successo del disegno di Rattazzi e/o di Rudini dipendeva da quanto l'Italia Reale sarebbe stata capace di scovare in Francia e da come Crispi si sarebbe difeso dalle accuse. Queste furono sostanzialmente due: 1) che Crispi aveva brigato la concessione di una alta onorificenza italiana ad un personaggio equivoco e, per di più, 2) dietro versamento di una somma di denaro la cui ultima destinazione era poco chiara.
Crispi si difese a mezzo del suo giornale, La Riforma, e con un'intervista concessa al deputato-giornalista Alfredo Comandini del Corriere della Sera. Ribatté la seconda accusa asserendo che la somma di denaro inviatagli da de Reinach era a lui dovuta per passate prestazioni professionali, nelle sue funzioni di avvocato di de Reinach in Italia (Riforma, 19.3.1893; Corriere della Sera, 19-20.03.1893). Per quanto riguarda la prima accusa, Crispi disse che l'onorificenza a Herz, voluta dal Primo Ministro francese Freycinet, era stata in un primo tempo concessa alla stregua di un rapporto favorevole dell'ambasciatore italiano a Parigi, Luigi Federico Mena-brea; ma, a seguito di ulteriori informazioni sfavorevoli ad Herz pervenute dall'ambasciata di Parigi, l'onorificenza era stata revocata per iniziativa dello stesso Crispi, che ne stracciò di sua mano il decreto (Corriere della Sera, 19-20.3.1893; Riforma, 24.3.1893). In seguito de Reinach era tornato a patrocinare la causa di Herz e Crispi aveva suggerito che Herz supplisse con qualche opera di beneficenza alla sua mancanza di titoli d'onore (Riforma, 29.3.1893).
Nei giorni successivi a queste messe a punto, l'Opinione, presumibilmente ancora ispirata da di Rudini, sostenne a due riprese, in contraddir torio con Crispi e La Riforma ed a conferma di quanto da essa detto in precedenza, che l'onorificenza a Herz era stata annullata per intervento di di Rudini e non di Crispi, che anzi si era opposto alla revoca (Opinione, 26.3.1893, 28.3.1893). Di Rudini sembrava voler lasciare ad altri {Rocca d'Adria?), ch'egli aveva ragione di credere esistessero e sarebbero diventati sempre più attivi, l'incombenza maggiore di accusare Crispi, riservando a sé un ruolo di rincalzo, che però mettesse in risalto la sua estrema correttezza e nel losco affare e nelle polemiche che stavano adesso infuriando intorno ad esso. Ciò era in perfetta coerenza con il suo carattere d'uomo, coll'immagine di se stesso ch'egli si sforzava di proiettare presso il pubblico, e con quello che doveva allora essere il suo calcolo politico: se egli lasciava gli altri scannarsi tra di loro, il potere sarebbe caduto come un frutto maturo nelle sue mani, senza alcuna spiacevole necessità, da parte sua, di rimestare nel fango. L'epitome di questa attitudine la si trova nella magistrale deposizione che di Rudini fece davanti alla Commissione dei Sette sugli affari della Banca Romana, il 4 luglio 1893. Con parsimonia ammirevole e con altrettanto ammirevole modestia che riconosceva al Re l'intero merito della revoca e del rimediato errore, di Rudini dichiarò:
Io non conosceva l'Herz. La sola ragione della mia opposizione si deve alla mia costante ripugnanza a conferire onorificenze a stranieri, specialmente quando vi è di mezzo, come forma di corrispettivo, il denaro, anche sotto titolo di beneficenza [come, in questo caso, le 60.000 lire all'Ospedale Mauriziano] (Interrogatori, p. 160).
A ben leggerla, la deposizione di di Rudini era rovinosa per Crispi: non solo autorevolmente confermava le accuse rivoltegli in precedenza,