Rassegna storica del Risorgimento

CAVALLOTTI FELICE; CRISPI FRANCESCO; HERZ CORNELIUS
anno <1987>   pagina <525>
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Libri e periodici
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un dissidente o un irregolare o addirittura un fuoriuscito di qualcuno dei vecchi partiti (p. 54). Lo scoppio della guerra mutò prospettiva ed accentuò in Fortunato il senso della catastrofe e del fallimento delie speranze risorgimentali.
Il complesso problema del rapporto tra Croce e Fortunato è affrontato da A. Tonnazzo (pp. 89-104). Il suo contributo tende a mettere in evidenza soprattutto le affinità che avvicinavano i due pensatori. Entrambi di formazione desanctisiana, erano accumunati dall'importanza attribuita al momento pedagogico-politico. In tal senso, centro del loro interesse è il ceto dirigente ed in particolare la borghesia, quale espressione della civiltà moderna. La doppia vita che ha il concetto di borghesia in Croce ed in Fortunato (quella reale, infingarda e di basso profilo politico e morale, e quella ideale, autentico ceto dirigente), testimonia, secondo lannazzo, il loro distacco tra le forme di vita culturale e morale e quelle della vita materiale (p. 95). Un distacco che in Croce si fece più evidente durante il fascismo, quando l'etica sembr[ò] porsi come una prospettiva di superamento nel tempo lungo della decadenza, e [Croce] cerefò] disperatamente le forze a cui fare riferimento; e che in Fortunato vifsse] come lacerazione insanabile tra la borghesia del Mezzogiorno, sperperatrice dei beni demaniali, disinteressata alla trasformazione agraria, dedita ai soprusi e alle angherie [...], e un'ideale di borghesia descritta come classe non classe, come classe aperta, dopo la "guerra sovvertitrice", nel 1921, quando nuovi e più gravi erano i pericoli ora provenienti dal fascismo (p. 95).
Jannazzo, tuttavia, isola eccessivamente il rapporto tra Croce e Fortunato entro uno schema Croce-ottimista - Fortunato-pessimista . Così, mentre non pessimistica voleva essere la visione crociana, ma rivolta alla creazione di nuove energie (p. 99); Fortunato rappresenta uno scenario irrigidito [...], statico, disponibile a ripiegare [...] sulla pietas (p. 94). In conclusione, Croce si manteneva ottimista nei confronti della classe dirigente più di quanto non fosse Giustino Fortunato (p. 99). L'indagine, ristretta entro il binomio ottimismo-pessimismo (e si potrebbe aggiungere, per parallelo, quello gioventù-vecchiaia) rischia di limitare l'analisi, riducendola ai soli dati caratteriali, o generazionali, che se pure hanno grande importanza, non possono esaurire il problema.
Cingari, nel suo bel contributo (pp. 3-15), ci fornisce un'interessante lettura del meridionalismo di Giustino Fortunato. Partendo dalla constatazione che il forte spirito unitario di Fortunato muoveva anche dalla paura di una jacquerie contadina, Cingari avverte che non bisogna isolare troppo questa componente, attribuendogli un rilievo fuor di misura . La sua più complessa visione si fondava sull'idea di un Mezzogiorno né ricco né felice, come voleva la tradizione, e su di un giudizio negativo delle forze dirigenti meridionali del passato e del presente (p. 6). Il favore con cui, fino alla fine dell''800, vedeva l'intervento dello Stato, muoveva dalla convinzione che l'Unità d'Italia avrebbe potuto segnare la fine di queste distorsioni e rimuovere i fattori di arretratezza. In un certo senso prosegue Cingari il suo era uno schema insieme illuministico e positivistico. Molto insisteva sui fattori naturali dell'arretratezza e molto confidava sul valore educativo dell'esercizio della libertà (p. 6).
Cingati individua due momenti del meridionalismo di Fortunato: quello iniziale, caratterizzato dalla fiducia nelle possibilità dell'intervento statale, e quello successivo, dai primi del Novecento in poi, in cui tale fiducia viene meno e il lucano abbraccia posizioni antistataliste. Nel passaggio alla seconda fase [...], il vero suo [di Fortunato] limite non stava nella ristrettezza di una visione fondata sul dato naturalistico, [...], quanto piuttosto nella sua debole percezione della qualità dello sviluppo capitalistico (p. 7). Cosi, se per un Nitti lo sviluppo industriale del Nord poneva in termini nuovi la questione meridionale e rendeva impellente un intervento statale volto a favorire anche nel Sud una crescita indu­striale, Fortunato condannava proprio questa spesa incontrollata, il cui unico risultato sarebbe stato quello di alimentare nuove baronie . In fondo Fortunato diffidava del­l'industrialismo [...]. La sua Ipotesi di sviluppo restava [...] legata ad uno schema liberista e, in quanto al Mezzogiorno, all'economia agricola "migliorata e mantenuta in equilibrio dall'emigrazione" (p. 11).
A conferma di questa analisi, si legga quanto scriveva Fortunato in uno scritto del 1919, poco conosciuto, ma di notevole interesse, a proposito delle prospettive del Meridione: