Rassegna storica del Risorgimento

DECENTRAMENTO; REGGIO CALABRIA AMMINISTRAZIONE 1861-1865
anno <1988>   pagina <40>
immagine non disponibile

40
Lucrezia Zàppia
Stato oltre che per la libertà dei cittadini, la classe dirigente provinciale, penetrando nelle più profonde pieghe del potere locale (quello territoriale elementare), cercasse di assimilarlo.
Lo scopo era quello di garantirsi la base territoriale che doveva giusti­ficare il proprio potere, nonché quello di gestire le spinte civilizzatrici, inserendole nella propria politica del territorio. Con questo intendeva com­piere la sua opera di mediazione volta a garantire allo Stato che le direttive degli organi centrali coinvolgessero in modo proprio ogni Ente elementare , mentre avrebbe permesso ai Comuni che la loro funzione non venisse tra­volta quando, per cause transitorie o permanenti, avessero mostrato insuffi­cienza verso se stessi.
Il principio d'autonomia doveva consistere nel diritto di conservare intatta la somma degli interessi locali; non era infatti necessario che il Comune fosse una più o meno numerosa associazione di persone fosse cioè piccolo o grande , la condizione era che la municipalità mostrasse capacità di amministrare in relazione a quegli interessi, mentre per i bisogni di più ampia portata doveva affidarsi all'Ente gerarchico superiore.
Ma questa linea politica, in cui la classe in oggetto si riconosceva, era già perdente allorché, contrastata nella sua iniziativa, fino al blocco della sua attività, gravata dal sospetto dell'autorità governativa, isolata sul piano nazionale, non saprà superare i vecchi schemi di organizzazione gerarchica del potere locale; quando nella volontà di esprimere una forza politica indi­gena che frenasse e correggesse i vecchi interessi localistici e privati, pro­porrà l'istituto provinciale come elemento di contraddizione sia all'antico, sia al nuovo sistema amministrativo, senza favorire la nascita di un potere socio-economico nuovo, creando così solo zone d'influenza e nuovi gruppi di potere.
Lo stesso nodo dell'Ente intermedio che in altre regioni, come nel­l'Emilia, aveva costituito uno degli elementi base del dibattito sul riassetto dei poteri locali, nella città dello Stretto non era mai stato, né lo poteva essere per situazioni storiche e per le difficoltà delle comunicazioni, motivo di confronto tra i soggetti istituzionali.
Mancava un adeguato processo ideologico per costituire un accordo tra il livello provinciale e le concrete attuazioni comunali.
La chiusura dei Circoli e la soppressione della stampa, determinati dallo stato d'assedio proclamato il 25 agosto 1862, recideranno per sempre quei fili che, col tempo, avrebbero potuto consentire tale corretto raccordo. Gli unici legami possibili tra capoluogo e comuni dipendenti non saranno più separabili dai modelli operativi di cooptazione politica individuale, da quelle strutture elementari di potere che i nuovi meccanismi istituzionali già perpe­tuavano attraverso il suffragio ristretto.
A questa classe politica mancherà quindi la possibilità, se non la vo­lontà, di trasformare il suo potere in reale capacità di organizzazione di aspettative e di bisogni del frammentato e disperso mondo della provincia verso un fine generale.
Tale carenza riporterà la stessa legittimazione ed i simboli del prestigio della città-capoluogo nello stretto ambito del Comune, il cui hinterland risul­tava già impacciato nelle sue possibilità espansive dalla conurbazione dello Stretto che, disseminato in forme policentriche (Comuni autonomi) condi­zionava perfino la possibilità di attrazione demografica del centro.