Rassegna storica del Risorgimento
DECENTRAMENTO; REGGIO CALABRIA AMMINISTRAZIONE 1861-1865
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1988
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Reggio Calabria e il decentramento 47
come circoscritto a particolari zone risultava il suo intervento attivo di sostegno, così era quello di controllo (come istituzione) sui ceti sociali.
Nel quadro socio-economico della provincia reggina, la Chiesa non costituiva una realtà a sé stante.
Proprio attraverso le vicissitudini dell'asse ecclesiastico si era qui prodotto, nel tempo, il noto processo di frantumazione della proprietà fondiaria mentre i corrispettivi censi perpetui delle vendite che erano state via via operate, in virtù della fissità dei canoni e per l'inflazione che ne aveva svalutato gli importi, rivelavano quanto si fosse ridotto il potere economico dell'Istituzione religiosa (potere che le successive concessioni reali borboniche non erano riuscite a restaurare).
Refrattaria a mutare i sistemi antiquati o corrotti di amministrazione dei propri beni, la Chiesa locale aveva per troppi anni svolto la sua attività economica con una mentalità comune a quella del ceto dei proprietari della terra, da cui il suo clero proveniva, carattere che, in assenza di una formazione più. adeguata all'abito, costituiva l'unico modello di comportamento. Vi aveva uniformato i criteri di gestione della proprietà fondiaria (dai contratti d'affitto e di colonia, alla scarsa propensione a valorizzare i terreni al di fuori di alcune zone) con una conduzione prettamente privatistica, avallata dai diritti di titolarità ad personam.
Questa impostazione aveva portato una crescita economica spesso limitata al puro accumulo del risparmio personale con la conseguenza che nella Chiesa reggina il capitale mobiliare era scarso.
Con gli stessi criteri di opportunità era stata informata l'amministrazione delle opere di beneficenza, le cui istituzioni avevano delle impostazioni antieconomiche,59) ma la stessa gestione determinava una forma concreta di potere che conservava nella popolazione i rapporti sociali dominanti.
Negli anni '30 il generale fervore riformistico, determinatosi nel Regno, aveva manifestato anche a Reggio i suoi frutti allorché, nel ceto dominante, una generazione attenta e sensibile era riuscita a coagulare i fermenti liberali, presenti nella propria tradizione culturale e a dar vita ad una pubblicazione: La Fata Morgana. Secondo la linea moderata espressa dal giornale,59) lo spirito di riforma doveva investire anche l'area ecclesiastica, sia perché, come in altre province, in essa gravitava il sentore dell'istruzione, sia perché nel suo ambito, attraverso l'opera di sacerdoti più responsabili, poteva maturare la spinta civilizzatrice delle masse (vivo era ancora il ricordo del 1799).
Occorreva diffondere i princìpi di rinnovamento nonché di razionalizzazione della vita religiosa, portare l'accento sulle pratiche di culto tradizionali, spogliarle di ogni superstizione. Bisognava creare nuove istituzioni per le classi popolari: dagli asili d'infanzia alle scuole di mutuo insegnamento, ma soprattutto riportare le opere pie alla loro vera essenza. Tutto ciò era sentito dai religiosi che si riconoscevano nella posizione ideologica de La Fata Morgana, ma anche da ecclesiastici di formazione cattolica intransigente.
Negli anni successivi, su questa base culturale, rinvigorita dalla nuova
59) LUCREZIA ZAPPI A, La Fata Morgana e i Moderati faggini, cit.