Rassegna storica del Risorgimento
RIVOLUZIONE FRANCESE; STORIOGRAFIA ITALIA
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1989
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Carlo Ghisalberti
ma destinato a segnare un distacco tra una linea di pensiero rigidamente moderata od anche tendenzialmente conservatrice di parte della cultura italiana successiva e l'immagine della rivoluzione francese quale appariva agli albori della sua stilizzazione e della sua mitizzazione nel pensiero liberale più avanzato ed in quello democratico europei, naturalmente portati ad esaltarne ed a recepirne gli aspetti fondamentali ed i contenuti più caratterizzanti sul terreno ideologico. Quegli aspetti e quei contenuti invece che al Cuoco del Saggio storico apparivano viziati d'astrattismo e pertanto non suscettibili di costituire un modello politicamente realizzabile.
In questo contesto la stessa interpretazione delle vicende postermido-riane francesi che pure nella prosa di un Gioia, di un Compagnoni e di molti altri erano state esaltate ed apprezzate per il loro moderatismo, ossia per avere spezzato quel nesso di continuità apparentemente ineluttabile che pareva legare (ed il pensiero corre alle ipotesi di un Mallet du Pan) l'Ottantanove al Novantatre, il rivolgimento politico alla rivoluzione sociale giacobina, dopo la fine dell'esperienza direttoriale ed il 18 brumaio appariva non più positiva al Cuoco. E ciò non soltanto a causa dell'operato della Francia nella penisola durante il triennio 1796-1799 e delle delusioni che questo vi aveva provocato, ma anche, e soprattutto, per l'instabilità politica e l'incertezza costituzionale che avevano caratterizzato fino all'avvento di Bonaparte al potere la vita della nazione d'oltr'Alpe, frequentemente accusata, allora e dopo, di aver osteggiato o addirittura impedito la formazione di una superiore unità politica delle genti abitanti la penisola.
Da Foscolo a Lomonaco, dai patrioti anarchistes ai più moderati esaltatori di soluzioni confederali o federali, la pubblicistica italiana non infrequentemente ha offerto testimonianza di quello stato d'animo fatto di delusione e di contestazione nei confronti del Direttorio, dei generali e dei commissari francesi, indifferenti o addirittura contrari all'idea dell'indipendenza della penisola, e perciò in contrasto palese con la dottrina politica, di marca giacobina , della unità e della indivisibilità delle singole nazioni e, quindi, dell'Italia.
Motivo questo destinato ad essere spesso ripreso dalla storiografia ottocentesca di carattere moderato o conservatore che, alla più generale contestazione degli eccessi e delle violenze scaturite dalla rivoluzione, ha affiancato il tema della sua estraneità e della sua indifferenza per la problematica nazionale italiana la cui soluzione avrebbe dovuto essere cercata non già vagheggiando esperienze e modelli stranieri ma negli accordi dinastici a base per lo più confederale, come teorizzerà poi la cultura neoguelfa, salvando in questo modo la posizione ed il ruolo di quelle case regnanti avversate dai rivoluzionari.
Vale comunque la pena di osservare come nel prevalente consenso della pubblicistica coeva all'opera del Consolato e dell'Impero nella penisola, la cultura ufficiale italiana del momento sembri riflettere da presso la visione, peraltro già largamente diffusa anche in Francia, di un periodo rivoluzionario da considerare preparatorio o, quanto meno, preliminare a quello consolare ed imperiale, di una fase, cioè, di transizione che avrebbe preparato l'assetto definitivo realizzato il 18 brumaio col recupero delle