Rassegna storica del Risorgimento

RIVOLUZIONE FRANCESE; STORIOGRAFIA ITALIA
anno <1989>   pagina <6>
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Carlo Ghisalberli
destini dell'Europa, che nel 1828 da Bruxelles rivendicava il ruolo della Francia costituzionale, richiamandone l'esperienza rivoluzionaria e la sua incidenza sulla realtà italiana, non si sottraeva troppo al giudizio prevalente.
Si trattava comunque di un giudizio nel quale confluivano, secondo le molteplici voci, vari fattori. In primo luogo, per i patrioti di diversa estrazione ideologica, il solito rimprovero alla Francia direttoriale di non aver favorito, quando le sue armate controllavano l'intera penisola, il processo unitario e, quindi, di aver disatteso e di non aver assecondato le attese indipendentistiche. Secondariamente, per i conservatori e per molti dei moderati, o, almeno, dei più cauti tra questi, di aver interrotto quel processo riformatore, lento e graduale, che avrebbe saldato maggior­mente le dinastie ai ceti colti ed operosi, consolidando le basi della società civile italiana ed invece sconvolgendo il suo modo di essere e rovesciando antichi assetti ed equilibri consolidati, gli uni e gli altri peraltro in via di ammodernamento e di miglioramento, sulla scia di quanto era avvenuto in Francia dopo l'Ottantanove, con la rottura tra Luigi XVI e la rivoluzione. In terzo luogo, poi, per i democratici più avanzati, di non aver compiuto fino in fondo quel processo rivoluzionario nella società civile i cui contenuti andavano interpretati in chiave o simile a quella degli Eguali o almeno in forma chiaramente progressiva sul piano dei rapporti di classe, come vagheggiavano taluni nostalgici di un giacobinismo di maniera.
Si trattava evidentemente di posizioni piuttosto differenziate ed unite solo nella tendenza a raffigurare in modo sostanzialmente negativo il rap­porto tra la rivoluzione e l'Italia. La positività di questa veniva invece riconosciuta soltanto da chi, a mente fredda ed immune da motivazioni ideologiche precostituite, poteva considerare il progresso realizzato nel paese nel ventennio dell'egemonia francese e le conseguenze di questa sullo spirito pubblico: ma questi ancora erano rari né le condizioni politico-culturali del paese potevano favorire un obiettivo ripensamento del fatto rivoluzionario.
Suscita, quindi, una certa meraviglia l'impostazione, apparentemente asettica ed acritica, ma in realtà moralistica e legalitaria, data da Lazzaro Papi ai suoi Contentavi della rivoluzione francese dalla congregazione degli Stati generali fino al ristabilimento dei Borboni, scritto ove la visione del quieto vivere, dell'ordine della società, esaltati in chiave moderatamente conservatrice, si accompagnava al riconoscimento implicito della valenza e della positività di taluni obiettivi prefigurati alle origini del fenomeno rivoluzionario e recuperati, almeno in parte, dopo vicende tumultuose e fatti atroci, grazie ad una sorta di ritorno alla ragione e di rinascita della coscienza. Ragione e coscienza concepite naturalmente più in chiave gius-naturalistica secondo la tradizionale etica che all'insegna dei valori illumi-nistici della vigilia rivoluzionaria.
I più, però, come si è visto, negavano la positività della rivoluzione nelle sue proiezioni sulla penisola: al Botta della Storia d'Italia dal 1789 al 1814, infatti, quella appariva sostanzialmente in chiave negativa perché aveva, a suo dire, interrotto il clima riformistico del Settecento e perché aveva gettato la nazione intera nell'orbita di una potenza straniera ege-