Rassegna storica del Risorgimento
RIVOLUZIONE FRANCESE; STORIOGRAFIA ITALIA
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1989
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Carlo Ghisalberti
Nel suo cattolicesimo di fondo Manzoni non poteva legittimare e giustificare la involuzione francese né accettarla come esempio e come modello dei moti liberali che l'hanno seguita specie in Italia. Che, così facendo, negherebbe le premesse religiose del suo pensiero e finirebbe col porsi al fianco di quanti postulavano l'avvento di regimi laicizzanti e secolarizzanti, qualificati sul terreno concreto dei rapporti tra lo Stato e la Chiesa dal più completo separatismo. Nel moralismo di cui era nutrito non poteva accettare le modalità di un processo storico qualificato prima ancora che per i fini da raggiungere per le modalità stesse del suo svolgimento, modalità che avevano portato il terzo stato alla rottura dì una legalità precostituita ed alla liquidazione del preteso liberalismo riformatore di Luigi XVI. Il suo obiettivo ultimo restava la contrapposizione in chiave moralistica, e perciò implicante un duro giudizio di condanna, sulla scia di quelli formulati frequentemente da conservatori e da clericali più o meno codini , dall'Ottantanove francese al Cinquantanove italiano, accettato, anche se, forse, problematicamente, nella speranza di una conciliazione tra lo Stato nazionale italiano e la Chiesa cattolica, conciliazione auspicata, naturalmente, su basi confessionali ed in un contesto moderatamente conservatore con la garanzia della monarchia rappresentativa. La rivoluzione di Francia, pur scaturente dalle eque rivendicazioni del terzo stato, che Manzoni ben conosceva la problematica interna ad esso avendo letto Thierry e conosciuto per il suo tramite il pensiero di Boulenvilliers e di Sieyès, aveva avuto uno svolgimento a suo giudizio aberrante.
Per l'eversione dei valori tradizionali, per l'utilitarismo e l'antropo-centrismo di cui era figlia (complesso è, infatti, il giudizio manzoniano sui rapporti tra i lumi e l'Ottantanove) era destinata a svolgersi ed a perpetuarsi fino alle sue ultime e più tremende conseguenze, e cioè la fine della monarchia costituzionale, la dittatura d'assemblea e di un solo, le stragi, il regicidio ed il terrore, la guerra intestina e quella ài confini, fenomeni questi per nulla accettabili ed a suo giudizio atrocemente odiosi, così come odiosi erano apparsi a tanti controrivoluzionari che primi avevano giudicato la rivoluzione.
B chiaro, però, che nell'Italia liberale, malgrado il suo grande prestigio e la sua grande fama letteraria, Manzoni doveva restare piuttosto isolato nella sua condanna della rivoluzione e non soltanto per la sua visione più moralistica che storiografica dell'evento ma anche, e forse soprattutto, a causa della difficoltà di costruire un rapporto di antitesi tra due fenomeni l'uno dei quali, il Risorgimento italiano, non poteva essere né compreso né valutato senza il riconoscimento del suo legame, diretto o indiretto, con l'altro, la Rivoluzione francese. Ed infatti sia moderati sia democratici, sia gli esponenti della vecchia e gloriosa Destra che quelli della nuova Sinistra, ad essa dovevano necessariamente guardare sia per accostare ai suoi principi le idee professate sia per distanziarle, sia per verificare strumenti da quella usati e fini da quella perseguiti, sia per rinnegare le modalità e gli obiettivi del suo svolgimento. Ed allora le diverse sue fasi, i differenti momenti del suo divenire, i vari mezzi da essa utilizzati divengono oggetto di una discussione che è spesso motivata