Rassegna storica del Risorgimento
RIVOLUZIONE FRANCESE; STORIOGRAFIA ITALIA
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1989
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Storiografia italiana e rivoluzione francese 19
rigidamente legati alle interpretazioni marxistiche di quegli eventi, assumeva in forma piuttosto schematica e forse troppo facile l'immagine di un rapporto tra la fase rivoluzionaria borghese inauguratasi nel 1789 e quella proletaria manifestatasi con l'esperienza sovietica del 1917.
In un simile rapporto naturalmente si collocava l'interpretazione che Gramsci ed i suoi epigoni e ripetitori davano alle vicende di quel giacobinismo che avrebbe dato tra il 1793 ed il 1794 un significato universale alla rivoluzione per il carattere internazionale ad essa inerente e per il modello politico prefigurato, carattere e modello ripresi in forma più nuova ed aggiornata con la rivoluzione d'ottobre. Interpretazione questa destinata naturalmente ad apparire logorata quando la presa delle ideologie fosse venuta meno, l'immagine di modelli o di tipi ideali avesse perso forza e suggestione, e il pensiero storico avesse rimosso definitivamente gli ostacoli delle suggestioni di marca meramente politico-partigiana.
D'altra parte la rilettura de Le due rivoluzioni francesi che Guglielmo Ferrerò scrisse dal suo esilio parigino nel ventennio fascista avrebbe dovuto facilitare la visione del contrasto e della contraddizione tra i fatti del-l'Ottantanove e quelli del Novantatrè considerati dal pensatore nella loro effettiva valenza filosofica e politica. I primi, sgorganti dall'Illuminismo e motivati dall'idea della creazione di un regime liberale e costituzionale fondato sulla sovranità nazionale, avevano prodotto l'essenza della nostra moderna civiltà ed i fondamenti più autentici della attuale vita associata. I secondi, certo non separabili dai loro antecedenti immediati per la continuità che lega necessariamente ogni processo storico e per la necessità che provoca passaggi rapidi e fatali in determinate circostanze, avevano dato vita ad un nuovo governo, estraneo alla tipologia dei regimi fino allora conosciuti e sperimentati, e cioè la dittatura rivoluzionaria. In essa il potere viene esercitato secondo regole nuove, poco precise, imposte da una minoranza, il più delle volte con la forza, a una maggioranza che non vuole affatto saperne. Si trattava di un regime fondato sulla dittatura, sul Terrore elevato a sistema in un quadro giustamente definito dal Ferrerò come generatore del primo governo totalitario d'Europa. Ma le due rivoluzioni, al di là delle mitizzazioni e delle analisi più o meno partigiane, restavano profondamente distinte nei loro connotati, la prima perché fondata sulla libertà, sui diritti dell'uomo e sulla tolleranza, la seconda perché, a causa del dérapage, lo slittamento ineluttabile degli eventi, ha prodotto fanatismo, intolleranza e tirannide di pochi o di uno solo nella speranza o, meglio, nell'illusione di costruire un mondo nuovo ed insieme un uomo diverso.
E mentre più recentemente dalla Francia giungevano in Italia gli echi delle polemiche aperte dal Soboul, dal Mazauric e da altri contro le tesi formulate da Furet e da Richet di carattere revisionista ed insieme riflettenti piuttosto da presso la visione trasmessaci dalla tradizione antica sul contenuto liberale e borghese della rivoluzione, sul grado di sviluppo economico e culturale della società civile del tempo e sulla valenza prevalentemente politica dei fatti susseguitisi dopo l'Oltantanove, polemiche che vi trovavano ripetitori spesso piuttosto privi di originalità, altri studiosi continuavano più seriamente la loro autonoma meditazione sulla storia d'oltr'Alpe.