Rassegna storica del Risorgimento
PIEMONTE RIFORME CARCERARIE 1835-1857; VEGEZZI-RUSCALLA GIOVENA
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Vincenzo Fannìni
Capelli, un capitolo con cui si è cercato di porre nella giusta evidenza il contributo fornito da Vegezzi-Ruscalla all'evoluzione del retrivo sistema detentivo sabaudo nel corso degli oltre venti anni da lui dedicati prevalentemente a quel gravoso e delicato compito.
La riforma delle carceri è necessaria, indispensabile. Lasciarle quali sono è un volersi complice della maggior depravazione che in esse contraggono i colpevoli e della perversità che si appicca aglJinquisiti.
Ma se tutti sono in ciò d'accordo, si discute per altro intorno al modo di procedere a questa riforma.3)
Con queste parole, vivamente sentite, Giovenale Vegezzi-Ruscalla iniziava una breve ma assai interessante recensione allo scritto del conte Carlo Ilarione Petitti di Roreto intitolato Esame della polemica insorta sulla riforma delle carceri, considerata nelle ultime produzioni delle opposte scuole e riflessi relativi*)', al di là del giudizio sostanzialmente positivo espresso dal pubblicista torinese sull'opera del Petitti (del quale si avrà modo di tornare a parlare più avanti), l'articolo appare degno di nota in quanto in esso, segnatamente nel breve passo citato, sono sintetizzati i due punti nodali attorno ai quali, almeno da un decennio a quella parte, si era andato articolando il dibattito sulla questione carceraria, non solo nel Regno di Sardegna, ma nell'intera Europa. Il primo di questi punti si riferiva alla necessità, addirittura all'urgenza di una riforma del sistema detentivo vigente: la prigione non poteva più essere concepita esclusivamente come un luogo di reclusione e pena, ma doveva necessariamente essere trasformata in una istituzione avente tra i suoi obiettivi primari la rieducazione del carcerato e la preparazione ad un suo coscienzioso reinserimento nella società.5) L'altro punto accennava invece alla divergenza di opinioni sul sistema migliore da adottare. Il dibattito verteva sostanzialmente attorno a due modelli di disciplina d'internamento, entrambi elaborati negli Stati Uniti d'America: il primo, detto filadelfiano o pensil-vanico, in quanto sperimentato per la prima volta nel carcere di Cherry Hill a Philadelphia, prevedeva l'isolamento continuo ed assoluto dei reclusi tanto per le ore notturne che per quelle diurne (solitary confinement); il secondo, invece, detto auburniano dal nome del penitenziario newyorkese di Auburn, prescriveva l'isolamento dei reclusi soltanto durante la notte, mentre per il giorno era previsto il lavoro collettivo, sia pure disciplinato dal più assoluto silenzio (silent system). Nei primi anni quaranta vennero a crearsi due schieramenti contrapposti tra i sostenitori dei diversi modelli, sebbene i fautori di entrambi partissero da un pre-
'G. VEGEZZI-RUSCALLA, Esame della polemica Insorta sulla riforma delle carceri e riflessi relativi del Conte Petitti di Roreto, socio di varie accademie, in Messaggiere torinese, n* 49, Torino, 3 dicembre 1842.
4) Milano, 1842.
5) p. CASANA TESTORE, Le riforme carcerarie in Piemonte, cit., p. 282.